«Serve il coraggio di stupire«: è il titolo di testa scelto da Romano Prodi per il ciak dell’azione di Governo. Non male come predica nel Paese di don Abbondio e dei suoi tanti epigoni, ma che fare per non incorrere nel rischio endemico di razzolare male? Massimo Riva, nella rubrica “Avviso ai naviganti” pubblicata sull’Espresso del 15 giugno, riscrive le sue personalissime tavole della legge con un «Primo: abolire le province». Facile, secondo Riva, parlare di giro di vite alla fame di risorse delle amministrazioni pubbliche, più complesso confrontarsi con un sistema «che sembra costruito apposta per moltiplicare le sue esigenze di cassa». Prova ne è la costante, inarrestabile crescita della Spesa pubblica. Ergo, va bene tamponare le falle, ma prima o poi risalire alla fonte del problema sarà inevitabile. E la ricetta non è la solita «potatura di qualche ramo più o meno secco, quanto l’abbattimento di interi alberi». Nota Riva che finora gli agronomi hanno adocchiato nelle regioni e nei comuni le essenze da sfrondare. E le Province, istituzioni che sarebbero dovute scomparire con la nascita delle amministrazioni regionali e che, negli ultimi anni, hanno ingrossato le proprie fila? Da Paese dei cento campanili a nazione delle cento Province – tante se ne contano oggi lungo lo Stivale -, l’Italia spende risorse per funzioni che potrebbero essere attribuite a comuni o regioni. E se abolizione non equivale a taglio hic et nunc di tutti gli oneri relativi al personale, in prospettiva significherebbe «prosciugare una fonte di uscite altrimenti destinata a caricare pesi sempre maggiori sul bilancio della pubblica amministrazione». Ecco un intervento da valutare in chiave di un Documento di programmazione economico e finanziaria che il Governo intende calibrare sull’arco di un quinquennio. Spia della volontà di un cambio di rotta, questa misura – conclude Riva – manderebbe un segnale forte e chiaro anche alle agenzie di rating, da sempre attente all’andamento del debito pubblico. Coraggio dunque.