Risparmio, niente sorprese

Analisi di nuovi prodotti finanziari finiti di recente al centro delle polemiche: i Convertendo. Il nostro vice direttore generale Carlo Crugnola spiega perché la Bcc non li ha mai trattati e consiglia come evitare di farsi raggirare dal canto della sirena del rendimento a tassi elevati

Se li conosci puoi evitarli. Si chiamano upper tier 2, lower tier 2 tier 1, obbligazioni reverse convertible, convertendo; nomi diversi ma della stessa famiglia, quella del rischio sconosciuto. Alcuni (i Convertendo) sono saliti di recente ai disonori della cronaca perché il prestito sarebbe avvenuto in pieno conflitto di interessi, fruttando un vantaggio per l’istituto. I convertendo, in particolare, sono obbligazioni di breve durata, in genere con rendimenti superiori a quelli di mercato, che, a scadenza, sono convertiti in un numero fisso di azioni ordinarie della società emittente. Quindi, alla scadenza, il valore di rimborso può essere anche notevolmente inferiore a quello investito. «Chiariamo subito che la Bcc non tratta questi prodotti –precisa il vice direttore generale e responsabile dell’area Finanza Carlo Crugnola–, ma ci sembra utile informare i risparmiatori che, nei prossimi mesi, potrebbero essere tentati dalla sirene del tasso elevato. Uno dei rischi che accomuna questi strumenti e che raramente è evidenziato nel momento dell’offerta è quello della liquidità, ossia la possibilità di dismettere l’investimento a un prezzo congruo prima della sua naturale scadenza. Tutti questi titoli difficilmente hanno un regolare mercato di contrattazione e il più delle volte il prezzo è deciso dall’emittente con conseguenze spesso sgradevoli in termini di tempo e di prezzo di smobilizzo». Il punto è che questi strumenti finanziari sono offerti da un numero sempre maggiore di intermediari per saziare la fame di rendimento dei risparmiatori. I tassi bassi spingono infatti molti emittenti a immettere sul mercato strumenti poco conosciuti: i rendimenti appaiono più gratificanti, ma le insidie connesse al rischio non sono mai specificate. È bene chiarire il quadro in cui questi strumenti finanziari nascono e si sviluppano: i bilanci della banche oggi devono fronteggiare due tipi di perdite. Ci sono quelle eccezionali, legate allo “sboom” della finanza derivata creativa, la cui stima, rivista almeno ogni mese, resta, nei fatti, sconosciuta. Ci sono quelle cicliche, come le perdite legate alla recessione economica, che per le banche si traduce in un inevitabile aumento delle sofferenze sui prestiti. Il debito subordinato, costituito da queste obbligazioni, è quello rimborsato successivamente, in via subordinata, rispetto ai debiti senior, che sono privilegiati. Quindi il debito subordinato, pur essendo formalmente un debito, può, in presenza di circostanze particolari, come quelle attuali segnate dagli effetti della crisi, trasformarsi in uno strumento di capitale, dove si possono scaricare parte delle perdite dell’emittente. Il punto è che l’emittente scarica le perdite, ma a perderci è il cliente. «Lungi da me affermare che l’emissione di questi strumenti sia finalizzata a trasformare il debito in capitale –puntualizza Crugnola–, ma mi sembra doveroso evidenziare questo tipo di rischio all’investitore tipo, che non sempre si interroga sull’altra faccia dell’alta remunerazione dei suoi risparmi». Universo variegato e complesso quello dei subordinati bancari; la raffinatezza tecnica di questi prodotti rende estremamente complicato orientarsi e comprendere i rischi incorporati. Si può cominciare a classificare i rischi in due macrocategorie: quello legato all’extension risk, ossia la trasformazione dell’obbligazione in capitale e quello, più estremo, di mancato pagamento della cedola. Anche di questi titoli si può stilare una classifica in base ai criteri di rischiosità e subordinazione. I subordinati stanno in un intervallo che spazia dai depositi in conto corrente, ossia la forma più sicura di debito, e le azioni ordinarie, ossia la forma più tipica del rischio d’impresa. Se il rischio legato ai depositi in conto corrente è più basso, più basso, ma più sicuro, sarà il rendimento; spostandosi attraverso i prodotti subordinati fino alle azioni il rendimento dovrebbe essere maggiore proprio per compensare i maggiori rischi assunti dall’investitore. Dopo il conto corrente la più sicura forma di debito è il debito senior, ossia il bond finanziario più semplice: si tratta di titoli con una scadenza definita, senza opzioni di rimborso anticipato e senza possibilità di posticipare il pagamento delle cedole. Altrimenti si incorrerebbe in una grave inadempienza. Il primo livello di subordinazione è il tier 3: il rimborso del capitale alla scadenza finale deve essere approvato dalla banca centrale da cui l’emittente dipende. I due livelli successivi rappresentano il cuore del capitale subordinato: il tier 2 è diviso in lower e upper (sul fronte interessi, le prime obbligazioni sono bloccate soltanto in caso di grave insolvenza, per le seconde il pagamento delle cedole si può sospendere in caso di andamento negativo); il tier 1 raggiunge un grado di subordinazione quasi assimilabile alle azioni privilegiate. In questo caso non c’è solo il rischio di durata “infinita” e rinvio delle cedole, ma le cedole non pagate sono perse per sempre. Sensibilmente diverse sono le obbligazioni riverse convertible, che prevedono il pagamento di una cedola fissa dall’importo elevato, ma senza garanzia che il capitale investito sia integralmente rimborsato alla scadenza del titolo. Il rimborso del prestito è legato al valore di un determinato titolo azionario sottostante; se alla scadenza del contratto l’azione di riferimento supera un determinato livello di prezzo, all’investitore sarà integralmente rimborsato il capitale versato all’inizio, in caso contrario l’investitore riceverà un determinato quantitativo di azioni, il cui controvalore complessivo sarà inferiore al capitale versato. Rispetto alla maggior parte delle obbligazioni che rientrano nella categoria “strutturate” con le riverse convertible non è garantita all’investitore la restituzione del capitale alla scadenza del titolo obbligazionario. «Il consiglio che mi sento di dare –conclude Crugnola– è di leggere quanto scritto nelle condizioni definitive del prospetto di emissione che chi consiglia l’investimento è sempre tenuto a consegnare. Nel riassunto delle caratteristiche principali del titolo si possono trovare tutte le indicazioni utili e, non ultime, le commissioni implicite di sottoscrizione, che in questi casi possono essere molto elevate». Parlando di strumenti finanziari poco chiari, non sarà inutile rifarsi alle dichiarazioni rese a fine maggio a Berlino da Mario Draghi, Governatore della Banca d’Italia e presidente del Financial Stability Board, l’istituto che si occupa di migliorare la stabilità del sistema finanziario. «Abbiamo bisogno di un sistema dove, se necessario, la banche possano fallire». Il riferimento è chiaro e riguarda quelle grandi banche che sono uscite dalla crisi del 2008 grazie a robuste iniezioni di liquidità da parte del Pubblico; a quegli istituti, che avevano operato in modo sovente spregiudicato, salvati con soldi statali. Dal Financial Stability Board è arrivata una proposta chiara; superare il circolo vizioso del “troppo grande per fallire”, quel freno al fallimento delle grandi banche per i contraccolpi sul sistema finanziario. Secondo Draghi la sensazione che gli aiuti pubblici arriveranno comunque non spinge i banchieri alla prudenza, ma diventa un incentivo all’azzardo. E sono i contribuenti a fare da “subordinati”.

14

Finanza e crisi: analisi di un fenomeno

Nel 2008 furono i mutui subprime, quelli di serie B, quelli concessi a chi non avrebbe mai e poi mai potuto onorarli a far scoprire che il marcio non era più confinato nella Danimarca di Amleto, ma aveva messo spalle al muro la superpotenza mondiale, gli Stati Uniti d’America. Da chi prima da chi dopo, quelle scelte sciagurate sono state pagate care in tutto il mondo; la guarigione non è ancora generalizzata, ma, soprattutto, il malcostume non è estirpato, anzi. Il Sole 24 ore di martedì 7 giugno titolava in prima “Derivati, la bolla record sale a 415mila miliardi”. E parliamo di derivati over the counter, ossia fuori Borsa, non negoziati su mercati regolamentati. Che sarebbe a dire un livello di uso non convenzionale dei derivati pari a quello del settembre 2008, mese zero della crisi globale. Che sarebbe a dire mercati senza regole. O con regole da scrivere, come ha ribadito il Segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner, sottolineando la necessità di una regolamentazione globale del mercato dei derivati. Necessario perché lo strumento è diventato un fine, dotato di una complessità che rende quasi impossibile la stima del rischio, determinato da variabili sottostanti di cui resta ignota la distribuzione di probabilità. La finanza, però, non nasce per fini speculativi. Nasce per consentire alle imprese di raccogliere il denaro che permette loro di nascere, svilupparsi e crescere. I mercati nascono per commerciare titoli rappresentativi di capitali investiti in organizzazioni di mezzi e persone che, grazie a quei mezzi o per produrre quei mezzi, lavorano. Sono queste organizzazioni che producono valore reale. Qualunque operazione che abbia come fine un guadagno del tutto sganciato dal valore della produzione delle imprese “quotate”, è un’operazione che penalizza la controparte della compravendita di titoli. Se investire in borsa non significa investire nelle imprese, si passa dalla finanza aziendale al casinò. E come nei casinò il banco vince sempre; nelle borse certe banche vincono sempre. E a perdersi è lo scopo originario della borsa e dei mercati finanziari.

0 replies on “Risparmio, niente sorprese”