Che Euribor fa? Gli operatori scrutano l’orizzonte economico, lo interrogano sperando in tempi migliori. Esercizio quotidiano, il loro, perché è il tasso che regola le correnti di denaro fra le banche dell’Unione Europea, il vero termometro del clima economico sul Vecchio Continente. Lo fanno mischiando previsioni e desideri, perché l’attesa si sta facendo lunga e il tempo, in economia, è denaro. Ma se il diagramma di questo indicatore, da molti mesi in qua, non dà segni di vitalità restando piatto o salendo a intermittenza, sfogliare margherite non è mestieri. Denaro a basso costo in banca, fra i risparmiatori, per le aziende, che effetto fa? Sintomo di crisi, alterazione delle consuete dinamiche domanda/offerta, circolo vizioso che non porta da alcuna parte e ha come unico sbocco la stagnazione. Cosa fare, cosa attendersi se l’Euribor boccheggia fra lo 0,7 e lo 0,8% per mesi e mesi? E, per restringere il campo, cosa succede agli sportelli e negli uffici della nostra Bcc, ai tempi della crisi che non vuole passare? «La prima reazione dei risparmiatori è stata di spostare gli investimenti verso prodotti più remunerativi -riferisce il responsabile dell’area Finanza della banca, Carlo Crugnola- ; siamo di fronte a tassi fra i più bassi di sempre e non ci si accontenta di rendimenti modesti». Una reazione di pancia, quella che spinge a spostare i risparmi dai prodotti indicizzati verso quelli a tasso fisso, e che, in tanti casi, dimentica una componente di primaria importanza quando si parla d’investire, il fattore rischio. «Succede che il cliente abbia in mente una quota di rendimento che prescinde dalla realtà, quindi dai livelli bassi dell’Euribor, e per i suoi investimenti voglia a tutti i costi quel numero -nota Crugnola-. Il problema è che, stante questa situazione, ad alto rendimento si accompagna alto rischio. Chi fa una scelta di questo tipo deve essere consapevole di quello cui va incontro». E qui sta il busillis; l’incapacità di valutare il rischio, il miraggio di un guadagno alto e sicuro ha accecato tanti risparmiatori nel mondo. Urge invertire la rotta. Servono la competenza e l’onestà di professionisti che consiglino prospettando opportunità e rischi per come sono, non abbacinando con la possibilità di incassi facili. «Come Bcc stiamo lavorando da tempo per fare passare questo messaggio -prosegue Crugnola-; siamo impegnati in una consulenza di portafoglio che deve servire proprio a questo: informare per educare a un investimento consapevole». Dal metodo al merito: quali i consigli serviti di questi tempi a chi ha caro il proprio gruzzolo?
«Piuttosto che cercare la remunerazione, oggi è opportuno badare alla protezione del capitale -risponde Crugnola-. I consigli sono due: differenziare gli investimenti e ragionare, almeno, sul medio termine, spostando le proprie attese in un orizzonte temporale più ampio. I risparmi possono, soltanto in parte, essere giocati sul breve periodo, e in relazione a esigenze immediate o straordinarie, ma il grosso dei risparmi va gesti to senza guardare unicamente alla remunerazione del cedolare. Ci sono più fattori da considerare e noi, da un anno, stiamo cercando di trasmettere alla clientela questo concetto: meno rischiosità e più differenziazione negli investimenti». Va detto che i risultati cominciano a vedersi, ma il compito non è dei più semplici. La colpa è di una particolarità tutta italiana: gli alti rendimenti del
risparmio. «Storicamente gli italiani hanno goduto di rendimenti più alti nel risparmio rispetto agli altri Paesi europei -nota Crugnola-; rendimenti connessi però a un fenomeno di cui andare poco fieri, il debito pubblico da record. Lì aveva la sua origine la remunerazione più alta. Da alcuni anni però, con un Paese che vuole allinearsi al resto d’Europa e tenere d’occhio il debito, i rendimenti non sono più appetitosi come una volta; da qui la tentazione di spingersi verso prodotti che promettono di più». Stiamo parlando, in tanti casi, di quei prodotti finanziari saliti ai disonori della cronaca quando la crisi è esplosa, subprime e soci, spesso specchietti delle allodole che non hanno mantenuto quello che non dovevano promettere. E qui torna in gioco l’importanza della consulenza di portafoglio: in Bcc non si è lavorato con la disinvoltura di chi ha fatto leva sulla promessa di guadagni esagerati. Si è operato, nei confronti del risparmiatore, con quell’atteggiamento sano e prudente che oggi organismi come la Consob e istituzioni come la Ue raccomandano: per ogni investimento che renda ben oltre l’Euribor occorre la consapevolezza dei rischi che si corrono. «I rendimenti italiani sono sempre stati drogati con il debito pubblico, quindi i titoli pagavano bene il risparmiatore, ma generavano altro debito -conclude Crugnola-; un meccanismo che non poteva più reggere e su cui dobbiamo abituarci a non fare più affidamento. Forse la crisi, con i tassi ai minimi storici, può lasciarci in eredità anche qualche aspetto positivo: la coscienza che un investimento non sia una puntata da gioco d’azzardo, che non esista l’occasione della vita, ma che serva un progetto ad hoc attento a tutto il portafoglio e non a un singolo titolo. È venuto, insomma, il momento della responsabilità. Se devo dare un consiglio, non mettete tutte le uova nello stesso paniere».Dal risparmiatore al mondo delle aziende; come ha impattato il nano-Euribor sull’attività delle imprese? «Gli effetti dell’Euribor per gli impieghi si presentano sfaccettati -spiega il responsabile dell’area Crediti, Tiziano Schiera-; il tasso ai minimi, per definizione, facilita gli investimenti. Ma è la situazione economica a sparigliare le carte: la qualità del credito oggi resta bassa, gli effetti della crisi mordono ancora e di fieno in cascina non ce n’è più. Se per una banca come la nostra, che vive di intermediazione, a fronte di una remunerazione al minimo c’è una rischiosità crescente, per le aziende impegnarsi in un investimento importante diventa difficile, anche in presenza di tassi bassi, per la situazione di generalizzata incertezza. Se ad esempio un’azienda incassa a novanta giorni può fare un certo tipo di previsione, se il termine si allunga potrebbe agire con maggior prudenza». Detto che l’andamento degli impieghi è di suo irregolare, fra gli operatori c’è attesa per un miglioramento. Note positive che, al momento, però si rintracciano a macchia di leopardo. «Nel fotovoltaico abbiamo registrato buoni segnali -prosegue Schiera-, pure nel settore immobiliare qualcosa si muove, nonostante ci sia disomogeneità nel territorio. Se però parliamo di investimenti dell’azienda sull’impiantistica, notiamo una certa titubanza, perché pesa ancora un fatturato che non è quello dei giorni migliori. Ma le conseguenze possono essere negative. Se, infatti, in un momento difficile una famiglia può anche rimandare senza alcun danno un investimento, per un’azienda rinunciare a rinnovare apparecchiature può significare pagar pegno in termini di competitività; fattore, questo, vitale per stare sui mercati. Se il recupero dell’Euribor è atteso, non è determinante per gli impieghi, dove, a fare la differenza è la fiducia degli imprenditori. A oggi ancora tiepida».