Mutue, una storia nata nell’Ottocento

Le "casse" risalgono alla prima fase dell'industrializzazione, quando i lavoratori salariati, senza assistenza sanitaria, si associarono contro i rischi di malattie e infortuni

04La Storia si ripete: le Casse mutue, enti assicurativi che garantivano l’accesso alle cure, affondano le radici nelle società operaie dell’800, una fase storica caratterizzata da una generale assenza di protezioni sociali, quando chi poteva pagava per avere un’assistenza adeguata e ai più poveri non restava che affidarsi alle Opere Pie o alla beneficenza borghese. I lavoratori salariati iniziarono così ad associarsi e a mettere in comune risorse per assicurarsi dai rischi e per garantirsi un futuro più tranquillo (disoccupazione, malattia, infortunio, vecchiaia) generando un esteso e capillare tessuto di società mutualistiche: un vero e proprio welfare dal basso. Oggi, in condizioni di benessere diffuso che pure non sono paragonabili con quelle di un secolo e mezzo addietro, l’arretramento del welfare ha riportato in auge questi sistemi che fungono ora da supporto al sistema sanitario nazionale. Non è un caso la coincidenza di periodo che ha visto nascere le prime casse mutue e le casse rurali da cui discendono le attuali banche di credito cooperativo: uguale il contesto economicosociale, medesima la ratio. Se le radici della solidarietà, come forma associativa che prevede un patto di reciproco aiuto destinato a durare nel tempo secondo regole condivise di reciproca obbligazione, sono assai lontane nella storia, il mutuo soccorso nasce come forma organizzata di reciproco aiuto contro il capitalismo della prima rivoluzione industriale. Le società di mutuo soccorso (SOMS) sono nate come associazioni senza scopo di lucro, cui le persone aderivano in maniera volontaria, su base territoriale o professionale per scopi di mutuo aiuto. Questo costituì una prima risposta collettiva alle conseguenze drammatiche del processo di industrializzazione e segnò l’affermazione concreta della rivendicazione di dignità e di autonomia di interi gruppi sociali che dichiarano la volontà di difendersi collettivamente dai rischi del mercato sfuggendo all’umiliazione di dover chiedere aiuto nei momenti drammatici dell’esistenza: la perdita del lavoro, la malattia, la morte. Come detto, è stata la seconda metà dell’Ottocento l’età dell’oro delle SOMS, che si sono sviluppate sia su base territoriale sia professionale, sia nei centri urbani sia nelle campagne, tanto di orientamento socialista come di orientamento cattolico. Numerose associazioni mutualistiche a base professionale (dai fabbri ai farmacisti, dai sarti ai tipografi) derivano da antiche corporazioni di mestiere. Una legge promulgata nel 1886 (la legge n. 3818 del 15 aprile 1886), e tuttora in vigore, attribuisce a queste organizzazioni una personalità giuridica e ne definisce gli ambiti di intervento. La mutualità volontaria è stata dunque una delle prime forme di associazione – antielitaria, libera da controlli statali, autogestita – delle classi lavoratrici italiane. Nella prima metà del ’900, le Società di Mutuo Soccorso, pur perdendo la loro centralità all’interno del movimento operaio e cedendo il passo alle emergenti organizzazioni di massa sindacali e politiche, riuscirono comunque a sopravvivere. Sul nostro territorio l’esempio è la Mutua Medica ospedaliera di Villa Cortese, costituita nel 1930 allo scopo di assicurare un’assistenza medica dignitosa agli abitanti del paese, allora per lo più artigiani e contadini che non avevano alcun tipo di assistenza medica, garantendo la presenza di un medico sul territorio del Comune e fornendo un’assicurazione per la copertura dei ricoveri ospedalieri e altri servizi assistenziali. Fu il fascismo a dare un deciso colpo di grazia al mutualismo operaio, riportando le associazioni sotto il rigido controllo dello Stato e del regime. L’idea non era soltanto quella di irreggimentare le mutue esistenti, ma di farle confluire all’interno di alcuni macro-enti.

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Sopra, l’ingresso della mutua medica ospedaliera di Villa Cortese, nata nel 1930

L’ultimo tentativo di portare a termine questo disegno data 1943, due anni prima del crollo della dittatura, quando si cercò di accorpare il fitto reticolo di casse, istituti ed enti di assicurazione sanitaria nell’Ente Mutualità Fascista – Istituto per l’Assistenza di Malattia ai Lavoratori. Da prodotto dell’iniziativa delle classi subalterne, gli enti mutualistici divennero così la spina dorsale di un nascente welfare burocratico e corporativo-assicurativo che, anziché promuovere l’estensione dei diritti sociali, cristallizzava le disuguaglianze fornendo a ciascuno una protezione commisurata ai contributi versati e alla posizione ricoperta nel mercato del lavoro. Una sanità così impostata prevedeva dunque, non solo una copertura parziale della popolazione (lavoratori e familiari a carico), ma anche forti differenze tra i beneficiari, in quanto le quote contributive versate alle assicurazione variavano in base al tipo di lavoro svolto; in questo modo si aveva accesso a diversi livelli qualitativi di assistenza. Uno dei paradossi che si veniva a creare era, per esempio, che i soggetti più vulnerabili e maggiormente esposti a malattie e rischi sociali, come disoccupati e lavoratori a basso reddito (con i loro familiari), avevano possibilità ridotte di accedere a cure e assistenza adeguate. La seconda parte del ventesimo secolo ha segnato una battuta d’arresto di questo movimento che, in Italia in particolare, si è dissolto nelle istituzioni del welfare. Una grande costruzione pubblica dei governi dell’Europa occidentale che, oggi, è entrata in crisi per ragioni che, nel caso italiano, poggiano su fattori strutturali, in primo luogo, quello demografico. In un equilibrio demografico ad alta natalità e ad alta mortalità, quale era ancora quello degli anni Cinquanta è stato possibile costruire un regime previdenziale a ripartizione, tendenzialmente universalistico, perché il numero dei contribuenti sopravanzava di molto il numero dei percettori di pensioni. Ora quell’equilibrio si è rotto. Secondo macroelemento è la crisi fiscale: l’aumento della domanda e dell’offerta di servizi ha comportato un aumento della pressione fiscale che non riscuote più il consenso dei cittadini. Anche perché si accompagna al sospetto che il costo dei servizi erogati attraverso burocrazie pubbliche sia troppo elevato se commisurato alla qualità dei servizi medesimi. E proprio con la crisi del sistema del welfare torna oggi d’attualità il mutualismo. A questa si aggiunga la recente crisi internazionale, che ha avuto come principale protagonista proprio il mercato finanziario e gli scandali che hanno bruciato il risparmio previdenziale di milioni di persone gettando una luce sinistra su questa strategia di uscita dalla crisi del welfare e spingendo a volgere lo sguardo verso un settore della società che ha più di un punto di contatto con la tradizione della mutualità: il terzo settore o, altrimenti detto, l’economia sociale, in altre parole tutto quell’insieme di organizzazioni e associazioni che hanno visto aumentare le loro dimensioni e la loro fortuna proprio all’ombra del declino del fordismo e del welfare che è cresciuto con esso. A suscitare un rinnovato interesse verso questo tipo di organizzazioni è la crisi finanziaria di questi anni, che ha messo a nudo gravi disfunzioni nella gestione delle imprese, in primo luogo nel rapporto tra azionisti, amministratori e dirigenti con i consigli di amministrazione e con i portatori di interesse interni ed esterni alle imprese. Nelle organizzazioni di tipo mutualistico, invece, i soci sono contemporaneamente azionisti e clienti e agiscono secondo logiche solidaristiche. Sia che agiscano a pieno titolo nella gestione del Sistema sanitario nazionale, sia che svolgano un ruolo complementare, le mutue attive nel settore sanitario e della protezione sociale si distinguono dalle assicurazioni per il fatto di non procedere a valutazioni personalizzate dei rischi al momento dell’adesione e dunque non scartano le persone ad elevato rischio, né calcolano i premi in funzione del rischio specifico dell’assicurato. Del resto nel corso delle crisi che si sono succedute, e l’ultima non fa eccezione, fra i meriti del mutualismo storico vanno annoverati non solo la capacità di auto-organizzazione e di autodifesa e la creazione di un sistema di regole capace di ridistribuire con giustizia risorse scarse, ma anche l’aver posto le premesse di un più ampio sistema di solidarietà in una riduzione irreversibile del welfare tradizionale il mutualismo può e deve giocare un ruolo. Specie in quell’ambito, oggi determinante, che è la Salute. E su questo la mutua targata BCC si candida a fare la sua parte.

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