Voglio allargare l’orizzonte nell’ultimo editoriale dell’anno e introdurvi un argomento di strettissima attualità nel mondo bancario. Il salvataggio di quattro banche nelle ultime settimane dell’anno con decreto del Governo è stato l’ultimo con le regole del bail out; ossia, per evitare il fallimento di un istituto bancario, tutto il mondo bancario ha contribuito, in proporzione, con le proprie risorse. Sottolineo tutto, quindi anche il sistema delle BCC. Da notare che quando c’è stato da salvare qualche BCC (e le sofferenze delle BCC sono comunque poca cosa rispetto alle perdite di una big del credito) è stato soltanto il mondo del Credito cooperativo a pagare attingendo ai propri fondi interni (anche questo significa mutuo soccorso); dalle altre banche neanche un euro. È giusto che paghino tutti per gli sbagli di qualcuno? E se gli sbagli sono dolosi, come pare sia accaduto in una delle quattro banche salvate con il direttore che si metteva in tasca il 5% su ogni affidamento? Ripeto: è giusto? Come saprete questo tipo di salvataggio, con risorse sistemiche, da gennaio 2016 andrà in pensione; con l’entrata in vigore del bail-in, il salvataggio sarà pagato da azionisti e correntisti (sopra i 100mila euro) dell’istituto bancario stesso. Se non altro pagherà solo l’istituto che è causa dei propri mali, oltre, purtroppo, ad altri. Ben venga quindi il bail-in, almeno per chi non ha nulla da temere, e per chi, come me, pensa che avere meriti o demeriti non sia la stessa cosa, anzi. Quali scenari si aprono? Quello più auspicabile, a mio avviso, è che si cominci a ponderare la scelta dell’istituto bancario cui affidare i propri risparmi e cui chiedere consulenza per gli investimenti. E la scelta, quella sulla base del merito, non è certo riconducibile alla ragione societaria della banca. È stato chiarissimo al riguardo il professore Leonardo Becchetti su Avvenire; aver stoppato l’intenzione del Governo di assimilare le BCC alle Popolari significa aver salvato una biodiversità bancaria dal pregiudizio di una presunta incapacità di stare sul mercato. Qualche lezione del recente passato dovrebbe essere di monito; le banche che innescarono la crisi del 2007 erano società per azioni, tre delle quattro banche di cui sopra salvate sono SpA. Quindi? Il messaggio forte e chiaro che voglio far pervenire a soci e clienti è: attenti alle sirene di chi userà lo spauracchio del bail in per convincervi ad affidargli i vostri soldi. A fare la differenza, come si può dedurre dagli esempi sopra, è sempre e soltanto la qualità delle persone che lavorano; non la ragione sociale, né le dimensioni delle banche. Questo mi preme dire alla fine di un anno che ha visto la nostra banca consolidare quei segnali di ripresa che, pure timidi, si sono manifestati e che siamo impegnati a intercettare e sostenere con tutti gli strumenti a nostra disposizione. E questo mi preme sottolineare alla vigilia di una novità normativa tanto importante come il bail in; una novità che mi vede tranquillo, alla luce di un lavoro di lungo corso portato avanti su preciso input del CdA e con la collaborazione della struttura. La prova? Banca d’Italia ha richiesto, per ogni banca, uno specifico Cet 1 (il parametro più utilizzato per valutare la solidità di un istituto e che, nel nostro caso, misura il capitale primario); ebbene, quello della BCC è risultato ben superiore a quanto richiesto. Il resto sono chiacchiere da imbonitori.
Luca Barni