Risparmiare in Italia significa investire in Italia

Il direttore Luca Barni

Il 2014 sarà un anno determinante per il sistema bancario. All’orizzonte si profila l’unione bancaria europea, il presente è quello di un’economia che, almeno in Italia, non ha le vele gonfiate dal vento della ripresa, il futuro immediato è quello delle regole che si stanno dando al sistema del credito e su cui si è scatenato uno scontro, proprio nel mese di gennaio, fra Banca d’Italia e Parlamento. Oggetto del contendere: chi deve legiferare sulle banche? E non è cosa da poco, visto che, comunque, da Bruxelles arriveranno altre regole ad alto impatto sistemico su cui magari mi diffonderò sui prossimi numeri della Voce. Comincio ad accennarne una, il funding gap, ossia la differenza fra la raccolta stabile da residenti e gli impieghi a residenti. Nella sostanza, nel medio periodo, la crescita degli impieghi dovrà essere inferiore alla raccolta dei residenti, e la dimensione di questo scarto sarà legata al livello obiettivo di funding gap da raggiungere e al periodo entro cui si vorrà pervenire a tale livello obiettivo. Le normative europee individuano quindi il fattore raccolta come fulcro dell’attività di intermediazione. In concreto, si faranno tanti più impieghi, cioè si presteranno tanti più soldi, quanto maggiore sarà il livello della raccolta. Il perché di questa svolta è semplice: la crisi ha evidenziato tutti i problemi di un mondo del credito che per anni ha bellamente trascurato i più elementari criteri di sana e prudente gestione. Insomma, si prestava più denaro, spesso molto più denaro, di quello che si aveva in cassa. Adesso si cambia: prima si trovano le risorse, poi si individuerà come investirle. A fare la differenza nell’attività bancaria sarà quindi il fattore risparmio. Dati alla mano, l’Italia oggi è messa meglio della Spagna, ma sta peggio della media dei Paesi europei, per tacere dei primi della classe, Germania e Francia. Il ragionamento è semplice, chi mette i propri soldi nelle banche italiane permetterà investimenti nel nostro Paese. In caso contrario, a beneficiare della nostra capacità di risparmio, che resta di tutto rispetto, saranno altri. Elementare a dirsi: i soldi dati alle banche italiane saranno benzina per la ripresa della nostra economia. Ma non è poi così scontato nei fatti, visto che questa consapevolezza, alla luce dei dati, sembra molto più viva all’estero rispetto all’Italia. Con le nuove norme sarà il caso di riflettere bene sulle proprie scelte di risparmio e sugli effetti che produrranno nel sistema. Riportato su un’altra scala di grandezza, è il discorso che abbiamo sempre fatto a proposito della nostra dimensione locale: chi affida i propri soldi a una banca del territorio come la Bcc vedrà ridistribuire sul territorio stesso, alle sue imprese e famiglie, le risorse. Nei Paesi dell’Unione che hanno agganciato meglio di noi i primi segnali di ripresa si fa così; perché non ragioniamo anche noi “local” come questi europei?

 

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