Soltanto insieme si può crescere

Fare rete e condividere conoscenze e competenze è l'unico modo per agganciare la ripresa come già successo in altri Paesi. I sondaggi di Confartigianato Varese e SWG

02Farcela insieme o da soli? Non lasciano spazio a molti dubbi le risposte degli intervistati del sondaggio Swg dello scorso novembre: oltre il 60% indica la prima opzione per uscire dalla crisi. Che, evidentemente, ha insegnato qualcosa. Oggi, come oltre un secolo fa, quando nel Nord almeno la risposta alla crisi agraria che si abbatté sulla neonata Italia prese la forma la forma delle casse rurali, gli antenati delle banche di credito cooperativo, mettersi insieme è la via da percorrere. A dimostrare come sia percepita questa esigenza c’è un sondaggio divulgato a gennaio da Confartigianato Imprese Varese: il 64% del campione risponde che in un momento di difficoltà, il fare “rete” tra imprese può essere una soluzione. Una percentuale che lievita ulteriormente se si considera un 18% di imprese possibilista sulla bontà di questa soluzione. Una superiorità schiacciante, insomma, su chi la pensa in modo opposto; quel 18% che ha espresso un no secco e ribadito la necessità di farcela da soli in questi frangenti di crisi. Va fatta una doverosa precisazione: sondaggi di questo tipo non hanno nulla a che spartire con quelli sulle propensioni al voto da aggiornare ogni settimana; qui si parla di una tendenza, di un’onda lunga, che si può rintracciare non soltanto nelle dichiarazioni ma anche nei fatti di tanti attori sul territorio. Quanto emerge dall’indagine svolta fra gli artigiani varesini e commentata dal loro presidente Davide Galli nella dichiarazione riportata a pagina 9 è condiviso dagli altri presidenti delle associazioni di categoria sui territori della provincia di Varese e dell’Altomilanese. Per Giovanni Brugnoli, presidente degli industriali della provincia di Varese, si sta registrando da anni «un’evoluzione del rapporto tra imprese stesse», che sfocia nelle reti d’impresa sul territorio, oggi 49 per un totale di 103 aziende interessate. Una trend confermato, nel territorio confinante, dal presidente di Confindustria Alto Milanese, Angelo Mainini, che riferisce quanto emerso da uno studio dell’Università LIUC sulle piccole e medie imprese: «la tendenza è di allearsi ed aprire il processo d’innovazione ai contributi esterni per perseguire rinnovamenti di tipo tecnologico, apprendere nuove conoscenze, tendenze di settore e migliorare il proprio patrimonio relazionale».E fra le iniziative portate avanti sul territorio valga l’esperienza positiva dell’Energy Cluster promosso proprio da Confindustria Altomilanese e che ha riunito oltre cento aziende lombarde. Alla logica dell’aggregazione per arrivare a fare massa critica, quindi contare di più, guarda il presidente di Confartigianato Alto Milanese, Francesco Sanavia, che vede in EXPO 2015 l’occasione per le piccole imprese di fare progetti, quindi business, insieme. Esigenza, questa, che comunque Sanavia individua per l’intero sistema come la sfida per i prossimi 2- 3 anni. «Sono anni, guarda caso proprio quelli della crisi, che diciamo che da situazioni di questo tipo o si esce tutti insieme o non ne esce nessuno -commenta il presidente Bcc Roberto Scazzosi-; del resto lo slogan che abbiamo adottato dal 2008 non lascia adito a dubbi: aiutiamoci a crescere. Un claim che se nella logica di un sistema fondato sul mutualismo come il credito cooperativo rappresenta la ragion d’essere del movimento stesso, evidenzia la sua validità proprio in momenti come questi, dove si diffonde la consapevolezza che far da sé non è più né vantaggioso né possibile». Passando dalle aziende ai lavoratori, la crisi si può “condividere” con uno strumento codificato come il contratto di solidarietà (lavorare di meno perché nessuno perda il lavoro), istituto per cui, sul finire del 2013 diverse regioni (Lombardia, Friuli, Toscana, Umbria) hanno creato un fondo ad hoc. «Tradizionalmente lo strumento dei contratti si solidarietà è stato più utilizzato dagli artigiani, che potevano fino a qualche tempo fa contare sulle risorse che un ente bilaterale, l’ELBA, metteva in campo -spiega Giuseppe Oliva, responsabile Cisl Milano-Legnano-Magenta-; con la crisi e l’aumento dei casi in cui bisognava intervenire questo meccanismo ne ha risentito. Se è vero, come auspichiamo, che si profila una ripresa e la cassa in deroga potrebbe diminuire, i contratti di solidarietà potranno essere lo strumento più adeguato per supportare i lavoratori».

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Se questo strumento di solidarietà nasce come risposta a una situazione di crisi, la rete contiene in sé una logica di collaborazione solidaristica, che è modus operandi sempre valido, anzi, per molti, ormai indispensabile. A sostenerlo con grande forza Marco Giovannelli, ideatore di GLocal e direttore di Varesenews, il quotidiano esclusivamente on line fondato nel 1997, che non usa mezzi termini per chi pensa di poter ancora fare da solo: «dico che è matto; oggi la risposta è data dalla rete. Non parlo di rete soltanto nell’accezione tecnologica, del web per intenderci, ma della rete come luogo di relazioni, rapporti e collaborazioni. Non sarà un caso che i Paesi che hanno scelto da anni di fare rete oggi sono già fuori dalla crisi. Per l’Italia, che ha accumulato un ritardo culturale abissale al riguardo, io non vedo la rete come ricetta per l’uscita dalla crisi: è semplicemente l’unico modo possibile per lavorare oggi, in tutti gli ambiti». Anche perché –e sono numerosi gli osservatori a suggerirlo– se vogliamo dircela tutta la crisi non è un episodio da superare e che un giorno sarà soltanto un brutto ricordo; si tratta di una trasformazione profonda in atto ovunque e con effetti diversi. Se in Italia ha picchiato più duro che altrove è perché qui le difese del sistema sono strutturalmente più fragili. Valga l’esempio della disoccupazione giovanile: la crisi può averla accentuata, ma è fuori discussione che il livello di disoccupati o inoccupati in Italia fosse più alta rispetto a quello tedesco anche ante 2008. «Le realtà che oggi soffrono meno sono quelle che hanno sviluppato una logica di rete; logica che si può spendere e che dà risultati sia sul piano sociale sia su quello tecnologico –prosegue Giovannelli–. Per fare rete abbiamo perso l’”occasione” della crisi; non perdiamo anche quello della cosiddetta ripresa: facciamo rete e basta, perché non ci sono alternative». Esempi di rete sociale Giovannelli e la sua redazione di Varesenews ne hanno conosciuti nel “141 tour” fatto l’anno scorso, ossia le giornate nei 141 comuni che compongono la provincia di Varese e dove si realizzano piccoli ma significativi modelli di reti sociali, specie nei piccoli centri, quelli in cui le persone si conoscono ancora. Dalle relazioni personali a quelle fra e per le imprese; “Smartup”, il laboratorio di fabbricazione digitale creato dalla collaborazione tra l’Università Liuc di Castellanza e l’Unione degli Industriali della provincia di Varese e dedicato al trasferimento tecnologico e alla distribuzione della conoscenza alle imprese, segna questo inizio di 2014 con la prospettiva della terza rivoluzione industriale, quella digitale appunto. Un cambio di scenario cui le aziende, da sole, specie se di piccole dimensioni, si affaccerebbero con maggiori difficoltà. La riuscita di Smartup –è stato detto nella conferenza stampa di presentazione nell’ateneo castellanzese– dipenderà certo dalla capacità delle imprese di dialogare tra loro, ma anche dall’intero contesto e dalle politiche industriali del territorio. Il progetto è dunque la messa a disposizione e la condivisione di un patrimonio di conoscenze in cui l’università, luogo del sapere per antonomasia, è perno e dal quale può costruirsi una filiera intelligente. A rilanciare l’attualità e la validità del modello partecipativo-cooperativo un articolo del Sole 24 Ore del 23 gennaio che sottolinea come sulla carta d’identità delle imprese che nascono negli ultimi anni ci sia scritto cooperativa o consorzio nella maggior parte dei casi. Una scossa al modello del far da sé, delle ditte individuali o società di persone, falcidiate dalla crisi? A questo riguardo nel blog “Il banchiere di provincia”, il direttore Luca Barni ha sottolineato il ruolo delle cooperative e delle Bcc in ambito finanziario come quello di «uniche future garanti della pluralità di soggetti nel mercato» e riportando una dichiarazione del presidente del Censis Giuseppe De Rita: «Se la solidarietà tra le persone è certamente la chiave che differenzia, anche storicamente, l’esperienza cooperativistica da quella capitalistica pura, il modello cooperativo può rappresentare la vera terza via in grado di condurci verso un capitalismo collaborativo». E questo anche alla luce dei fallimenti speculari dell’economia di Stato e dell’iperliberismo. Nella periodica oscillazione fra il polo individuale e quello collettivo, due economisti, Porter e Kramer, hanno indicato nel 2011 il “valore condiviso” come possibile risposta alla crisi del capitalismo globale. Il valore condiviso riconosce che anche i bisogni sociali, oltre a quelli economici, definiscono il mercato. Ed è soltanto con una nuova socializzazione del capitale che si potrà passare «da una catena di produzione del lavoro fondata su sfruttamento/rendita, consumo e speculazione a una imperniata su innovazione, senso, valorizzazione/investimento, territorio e socialità».

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