È possibile spendere più di quanto guadagniamo? Ovviamente sì, ma a patto che si verifichi almeno una di queste due condizioni: che ci sia qualcuno disposto a farci credito, ovviamente con l’impegno della restituzione; oppure che ci sia da parte un capitale (piccolo o grande non importa) dal quale poter attingere di volta in volta. Nel primo caso ci ritroveremmo in debito, quindi con la prospettiva di dover rifondere chi ci ha fatto il prestito; nel secondo caso, andremmo ad assottigliare quel gruzzoletto che magari è stato messo da parte con mesi e mesi di risparmi. E se non andremo a rifondere il capitale è matematico che, prima o poi, ci ritroveremmo senza più nulla. Un “buon padre di famiglia” cerca di non vivere al di sopra delle proprie possibilità: più che una questione di previdenza, è un atteggiamento di buon senso per non andare incontro a problemi e non crearne. Tenendo ben ferma la logica di quello che dovrebbe essere un normale bilancio familiare, guardiamo al nostro pianeta. Siamo profondamente in debito con la Terra. Nel senso che consumiamo molto di più di quello che ci viene messo a disposizione in termini di risorse. Spendiamo molto di più di quel che guadagniamo. E non parliamo di un normale stipendio: qui in gioco ci sono l’aria, l’acqua e tutti quegli ecosistemi che sono alla base del nostro vivere quotidiano. Nel 2019, a livello planetario abbiamo finito le risorse disponibili lo scorso 29 luglio; a livello nazionale il budget è stato esaurito ancora prima, a metà maggio. Sarebbe come trovarsi verso la metà del mese (anzi, poco prima) avendo speso tutto lo stipendio. La questione è: come si arriva al 31? Nel primi anni Novanta, Mathis Wackernagel e William Rees, nel preparare il dottorato di ricerca del primo all’università della British Columbia, hanno ideato il concetto di “impronta ecologica”, cioè il Global Footprint Network.
Si tratta di una metrica di sostenibilità che si basa su una contabilità semplice e diretta, non su punteggi arbitrari. Attraverso una puntigliosa metodologia che negli anni si è sempre più affinata, misura quanta natura abbiamo e quanta ne consumiamo. Il raffronto viene misurato in biocapacità, ovvero il calcolo della quantità di terra e di area marina biologicamente produttive che sono disponibili per fornire le risorse che una popolazione consuma e per assorbire i suoi rifiuti, date le attuali tecnologie e pratiche di gestione. Il calcolo è piuttosto complesso, ma arriva ad un risultato estremamente efficace: ogni anno viene comunicato l’Earth Overshoot Day, cioè il giorno dell’anno in cui arriviamo a consumare tutte le risorse che il pianeta ci ha messo a disposizione per 365 giorni. Purtroppo, questa data dagli anni Settanta in poi non ha mai coinciso con il 31 dicembre. Anzi, si è lentamente spostata all’indietro, arrivando al 29 luglio per il 2019 (era il primo agosto l’anno scorso). Questo significa che in poco meno di sette mesi l’umanità ha consumato le risorse che gli ecosistemi terrestri possono rigenerare in 12 mesi. Per l’Europa e l’Italia l’Earth Overshoot Day è stato molto anticipato: la prima ha esaurito le risorse disponibili già il 10 maggio, l’Italia ha richiesto cinque giorni in più (magra consolazione). Quindi abbiamo vissuto -e viviamo- ben al di sopra delle nostre possibilità.
Se l’umanità sta attualmente utilizzando la natura 1,75 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi del nostro pianeta possano rigenerare, ovvero si comporta come se avesse a disposizione 1,75 pianeti, per l’Italia la situazione è anche peggiore: consumiamo risorse 2,7 volte più velocemente, al pari di Francia e Inghilterra, ma leggermente meno della Germania (3). Nel vecchio continente, il Paese meno virtuoso è il piccolo e ricco Lussemburgo, che ha consumato le sue risorse a disposizione dopo soli 46 giorni dall’inizio del 2019, esaurite lo scorso 16 febbraio; la Bulgaria è invece la nazione più parsimoniosa: ha avuto risorse fino al 22 giugno. In ciascun paese Ue, Italia compresa, la voce più costosa nella bolletta dell’impronta ecologica è quella delle emissioni di CO2, seguita dal fabbisogno di suolo e legname della foreste e dalla richiesta di terre da coltivare. Nel complesso, come riportato dal rapporto WWF- Global Footprint Network, l’Europa che ospita appena il 7% della popolazione da sola sfrutta il 20% della biocapacità
terrestre.
Guardando ai singoli cittadini, all’Italia spetta un triste primato: l’impronta ecologica di ogni italiano -l’area necessaria a provvedere a ciò che ciascuno di noi consuma- è di 4,4 ettari globali (gha) mentre la biocapacità che esiste realmente in Italia per ogni cittadino è di 0,9 gha. Nel 2019, ogni abitante dell’Italia è quindi in deficit con la Terra di 3,5 gha. Questo significa che gli italiani consumano risorse come se avessero a disposizione 4,7 Italie e in questa speciale classifica a livello globale siamo secondi solo al Giappone (7,7). «Stiamo attuando un approccio piramidale, usando risorse future per gestire l’economia di oggi», ha dichiarato Mathis Wackernagel, fondatore e presidente del Global Footprint Network. «Come facciamo nel settore finanziario, abbiamo bisogno di un’attenta contabilità anche delle risorse naturali. Abbiamo bisogno di sapere quanta natura abbiamo usato e quanta ancora ne abbiamo. Dobbiamo fare delle scelte per non compromettere il nostro futuro e intraprendere un percorso diverso che consenta una prosperità duratura».
La nostra “impronta ecologica” non è quindi destinata al mantenimento delle risorse disponibili e neppure ad incrementarle, ma porterà inevitabilmente ad un loro esaurimento. Questo perché i “costi” di spesa ecologica stanno diventando sempre più evidenti: deforestazione (e gli incendi che stanno devastando la foresta Amazzonica hanno un peso enorme), erosione del suolo, perdita di biodiversità e accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera con i conseguenti cambiamenti climatici ed eventi meteorologici estremi sempre più frequenti. «Alla fine, l’attività umana sarà comunque riportata in equilibrio con le risorse ecologiche della Terra», ha proseguito Wackernagel. «La domanda è come vogliamo arrivarci: con un disastro o potendo gestire questo riallineamento? Con un pianeta ridotto in miseria oppure con un pianeta prospero?».
Invertire la direzione è possibile. Se, infatti, spostassimo la data dello sovrasfruttamento in avanti di 5 giorni ogni anno, l’umanità tornerebbe a essere in armonia con il pianeta prima del 2050. Per la ricorrenza di quest’anno il Global Footprint Network ha lanciato la parola d’ordine sui social #MoveTheDate, evidenziando alcune azioni concrete da mettere in pratica e valutandone il loro impatto sull’Earth Overshoot Day. Ad esempio: sostituire il 50% di consumo di carne con una dieta vegetariana, contribuirebbe a spostare la data dell’Overshoot Day di 15 giorni in avanti (questo dato comprende 10 giorni per la riduzione delle sole emissioni di metano dagli allevamenti); ridurre la componente delle emissioni di CO2 dell’Impronta globale del 50%, sposterebbe la data di sovrasfruttamento di 93 giorni, portandola così dall’attuale 29 luglio alla fine di ottobre. Banalmente, anche mettere mano al proprio guardaroba può aiutare il pianeta: l’invito è a ridurre l’acquisto di abiti perché l’abbigliamento rappresenta il 3% dell’impronta ecologica globale. I passi da intraprendere che Global Footprint Network indica per spostare la data dell’overshoot sono relativi a cinque principali soluzioni: energia, cibo, città, popolazione, e pianeta. Le opportunità per agire concretamente comprendono, tra le altre, fare un turismo ecosostenibile preferendo le strutture piccole a quelle grandi, adottare delle buone pratiche sul luogo di lavoro che portino alla riduzione dello spreco di cibo, fare delle petizioni ai propri governi per gestire le risorse naturali in maniera responsabile e sostenibile ed essere testimoni di azioni ambientalmente responsabili. In estrema sintesi, si tratta di fare delle piccole scelte oculate che non comportano grandi sacrifici, ma che se messe tutte assieme possono fare bene all’ambiente.
Questa è la direzione indicata anche dall’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (di cui abbiamo parlato nel numero di Giugno 2019 della Voce), attraverso il raggiungimento di 17 obiettivi entro i prossimi 11 anni. Nel frattempo, possiamo già calcolare la nostra impronta ecologica: sul sito www.footprintcalculator.org in pochi semplici passi è possibile avere una valutazione del nostro stile di vita e capire dove poter migliorare.