Mercato del lavoro lento e clientelare ecco perchè i giovani vanno all’estero

L'indagine di Talents in Motion ha approfondito le motivazioni che spingono i laureati italiani a cercare fortuna oltre confine. E molti, pur potendo, non tornerebbero più indietro

Un mercato del lavoro lento, stantio e che sottosta ancora a logiche clientelari. Questi sono i principali motivi che spingono i giovani talenti a cercare fortuna altrove. Quando si parla di brain drain, brain overflow o ancora human capital flight, il concetto non cambia: l’Italia non è in grado di trattenere i propri cervelli. Il fenomeno della migrazione di persone altamente qualificate è un affare che tocca da molto vicino il nostro Paese: sono 156 mila i giovani diplomati e laureati che negli ultimi cinque anni hanno lasciato l’Italia per andare a lavorare in un altro Paese. Ben pochi quelli che hanno fatto rientro. Ma perché? Se lo è chiesto Talents in Motion, il primo progetto di Responsabilità Sociale a 360° per la circolazione dei talenti realizzato attraverso un lavoro di continuità tra aziende, istituzioni, università e partner, in ottica di potenziare l’attrattività di capitale umano dell’Italia come nuovo polo d’eccellenza a livello europeo e globale. Supportato dal Forum della Meritocrazia ed in partnership con LinkedIn, Talents in Motion ha fatto realizzare all’ufficio studi PwC (Pricewaterhouse Cooper, network internazionale operativo in 158 Paesi che fornisce servizi di consulenza di direzione e strategica) una ricerca con l’obiettivo di individuare quali sono le principali ragioni che spingono i talenti italiani a spostarsi all’estero, a quali condizioni i talenti emigrati all’estero sarebbero disposti a ritornare in Italia e quali sono i principali fattori che disincentivano il rientro in Italia dei talenti.
Attraverso delle interviste mirate ad un campione di 130 italiani che vivono e lavorano all’estero, la ricerca è arrivata a circoscrivere il cosiddetto fenomeno della “fuga dei cervelli”. Innanzitutto, non tutti si ritrovano in questa definizione: solamente la metà degli intervistati riconosce di essere effettivamente “scappata” da un mercato del lavoro ritenuto profondamente critico e incapace di dare delle risposte soddisfacenti. Per tre su dieci, invece, si è trattato di una scelta ben precisa, per dare la “caccia alle opportunità di un mondo globalizzato”. Di fatto, la decisione di guardare oltre i confini nazionali non è stata dettata dall’impossibilità di trovare un’occupazione (solamente il 5%), quanto dalla consapevolezza che quella posizione non avrebbe permesso di crescere personalmente e professionalmente. Per oltre il 66% degli intervistati il mercato del lavoro in Italia è estremamente debole. Che significa lento, poco attento a chi sa fare e, soprattutto, profondamente ingessato. Infatti, il 48% degli intervistati ha dichiarato che il “Paese in cui attualmente lavora offre un migliore contesto professionale e/o maggiori prospettive di carriera rispetto all’Italia” e che “le offerte di lavoro ricevute in Italia erano molto insoddisfacenti per quanto riguardava retribuzione e/o tipologia di contratto”. A questi si aggiunge un 13% che ha avuto proposte di lavoro prima dalle aziende estere che dall’Italia. La parte restante, in ogni caso, sarebbe andata all’estero sia per motivi personali sia per la volontà di lavorare in aziende internazionali importanti.
Al di là della spinta a lasciare l’Italia, la stragrande maggioranza degli intervistati (85%) ritiene che il Paese dove lavora sia in grado di offrire un migliore contesto professionale e maggiori prospettive di carriera rispetto all’Italia. Questo perché? Il tema stipendio è molto sentito: le retribuzioni all’estero sono decisamente superiori. Una questione certificata anche dal rapporto di Almalaurea, che attesta che, a fronte di posizioni simili, gli stipendi negli altri Paesi sono maggiori del 61%: chi lavora all’estero, a cinque anni dal titolo, percepisce 2.266 euro mensili netti, rispetto ai 1.407 euro di coloro che sono rimasti in Italia. Tra i principali motivi di emigrazione c’è anche un iter di carriera troppo lento, l’assenza di eccellenze nell’ambito di interesse e, in generale, lo scarso profilo del panorama occupazionale. Trasversale a tutte queste motivazioni c’è la consapevolezza di essere davanti ad un mercato del lavoro ancora profondamente condizionato da clientelismo e corruzione che, in quanto tale, non è in grado di dare libero sfogo a competenze e professionalità
personali.
L’ipotesi di tornare nel Belpaese non è del tutto accantonata da tre su quattro, a patto che la posizione offerta sia almeno prestigiosa e remunerata quanto quella estera; meglio se si dovesse trattare di una posizione più vantaggiosa. C’è da dire, però, che ben l’84% degli intervistati sta bene dove sta e non sta cercando opportunità per rientrare in Italia, anche perché le aziende italiane vengono percepite come poco dinamiche, con limitate prospettive di crescita professionale e personale e, ancora una volta, pervase da clientelismo e corruzione. Nemmeno gli incentivi fiscali riescono a smuovere la sensibilità verso un ritorno: meno di due su dieci conosce la normativa nel dettaglio e addirittura il 32% ignora l’esistenza di questa opportunità.
Insomma: il quadro generale che esce dalla ricerca è piuttosto desolante. In più, le “non buone prospettive economiche del nostro Paese” (per il 30% degli intervistati) non invogliano di certo a far ritorno. Ma è proprio questa la percezione che Talents in Motion vuole invertire, nel «restituire lustro alla coscienza dei cervelli italiani, che si trovino ancora in patria o fuori, affinché al nostro Paese venga data la possibilità di diventare un polo d’eccellenza per far parte attiva di un circuito più grande. Quello che fa muovere cervelli e saperi al di là degli Stati e delle regioni e delle singole città», scrive nella presentazione del progetto la presidente e fondatrice Patrizia Fontana. La strada, al momento, appare ancora lunga.

HANNO DETTO

Mauro Colombo
Vice Presidente vicario
Bcc Busto Garolfo e Buguggiate

L’Italia presenta una situazione quasi paradossale: da una parte ha un’eccellenza accademica riconosciuta a livello mondiale (e molte università inserite nella top ten QS sono proprio a Milano); dall’altra, è all’ottavo posto nel mondo per fuga di cervelli. Quindi, abbiamo un comparto formativo di livello ma non riusciamo a dare un futuro alle giovani menti. Solamente nell’ultimo anno, i laureati che hanno varcato i confini sono stati oltre 28 mila; come ordine di grandezza, parliamo di più degli abitanti della città di Parabiago. Una risposta possiamo darla: il ruolo di una banca locale, di una banca di comunità come la nostra è quello di creare le condizioni affinché le nostre eccellenze possano trovare qui, sul territorio, la giusta risposta. La relazione, che è alla base del nostro essere Bcc, ci porta alla conoscenza e dalla conoscenza è possibile fare rete. Nell’azione quotidiana guardiamo al futuro; un futuro di crescita per le aziende e per i giovani.

Diego Trogher
Vice Presidente
Bcc Busto Garolfo e Buguggiate

La fuga dei cervelli non rappresenta solamente un impoverimento del territorio in termini di conoscenza, ma anche investimenti sostenuti che portano benefici altrove. Secondo l’OCSE infatti nel solo 2017 con i laureati che sono andati oltre confine l’Italia ha “perso” i quasi 4 miliardi di euro spesi nella loro formazione. Per invertire la tendenza occorre fare crescere le eccellenze in casa, un’intuizione che la nostra Bcc ha colto e con lei anche diverse realtà imprenditoriali del nostro territorio. L’intervento della nostra banca si inserisce infatti in un movimento di persone, di imprenditori e di realtà che vogliono bene al territorio e vogliono che cresca. La nostra Bcc non è sola: si sta creando una rete che, in collaborazione con università e istituti di ricerca, individua le eccellenze e investe su di loro. Perché coltivare le eccellenze è coltivare il futuro: questi giovani saranno gli amministratori, gli imprenditori e i politici di domani.

Giuseppe Barni
Presidente Comitato esecutivo
Bcc Busto Garolfo e Buguggiate

L’indagine che viene citata in queste pagine descrive un quadro abbastanza impietoso: i giovani laureati vanno all’estero perché in Italia non trovano risposte adeguate alla loro preparazione e alle loro ambizioni; vi è inoltre una scarsa fiducia nel nostro Paese. Ritengo che come istituto di credito che vuol bene al proprio territorio facciamo da sempre un’importante quanto significativa azione di sostegno alle piccole e medie imprese affinché possano crescere e, crescendo, possano dare risposte in termini occupazionali. Crediamo sia questa la via maestra per tracciare la strada per il futuro: un futuro che immaginiamo di sviluppo per i nostri figli e, un domani, per i nostri nipoti. Questo passa anche dal sostegno quotidiano a quel processo di valorizzazione della cultura, della natura, della storia e dei saperi che, attraverso le moltissime realtà virtuose con cui ci rapportiamo, trova una sempre maggiore concretezza.

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