Valga una citazione per titolo alle vicende di chi vive la stessa situazione. Perché ci sono le statistiche, le indagini, gli studi e ci sono le persone che, prese una a una, non fanno certo numero ma, con le proprie storie, fanno la vita di tutti i giorni, ossia quella reale. Quella che si presenta un po’ più in salita da qualche anno in qua per chi ha avuto la ventura di veder coincidere il momento dell’ingresso nel mondo del lavoro con i primi effetti della crisi economica. Quella che ha toccato, anno più anno meno, donne e uomini oggi fra i trenta e i trentotto; classi che di ferro devono dimostrarsi per ottenere quello che altre hanno raggiunto soltanto pochi anni prima con una normale trafila di difficoltà. Ma, non bastasse il supplemento di fatica, di problemi e preoccupazioni, il punto è che la proverbiale buona volontà non è sempre sufficiente. Serve una capacità di mettersi in gioco o, per parlare ancora più chiaro, di sacrificarsi che non si conosceva ormai da qualche decennio; da quando, insomma, con un benessere più diffuso, tutti o quasi si sono trovati nella possibilità di scegliere la propria strada dopo la scuola dell’obbligo. Ma per queste donne e questi uomini, terminato il ciclo dei propri studi (specie universitari), le possibilità di ingressi nel mondo del lavoro si sono ridotte a spiragli e la situazione, dalla fine del 2008, tale sono rimaste. Se è vero che, piaccia o meno, è sempre più difficile sperare in un posto di lavoro e dovremo fare il callo al lavoro e basta, il problema sta nell’intermittenza, se non nell’insicurezza dell’incarico. Una volta si collezionavano figurine o adesivi, adesso si potrebbe fare archivio con i contratti a breve termine che segnano il percorso a singhiozzo di tante persone. Il grave è che non parliamo di persone fresche di studi, quindi fisiologicamente disposte all’indispensabile gavetta, ma di individui “nel mezzo del cammin”, che, in situazioni normali, avrebbero già preso una direzione professionale e, con ogni probabilità, nella costruzione di una famiglia. E siccome ne conosciamo, abbiamo chiesto de visu o al telefono di darci la loro testimonianza del problema, ma tutti, pur capendo la finalità buona del nostro pezzo, hanno preferito evitare di metterci faccia e parole. E se non vogliono parlarne su una testata, questo rifiuto la dice lunga sulla situazione che vivono; di fastidio, di disagio. “Già la affrontano ogni giorno, perché parlarne?, tanto si sa come vanno le cose” –ci ha detto un collezionista di contratti di cui sopra–. Rispettiamo le loro volontà e sentiamo alcuni fra i loro coetanei che con il lavoro intrattengono un rapporto migliore. Uno per categoria: da chi si è inventato imprenditore, dato che di essere assunto non se ne parlava, a chi, con dei coetanei, ha voluto mettersi in proprio, a chi ha scelto di continuare nell’azienda di famiglia, a chi un posto di lavoro l’ha trovato ed è nella sede della Bcc.

Cominciamo da Lorenzo De Feo, 33 anni, nato a Varese, da 13 anni milanese per studio, prima, per cercare lavoro poi. «Mi sono laureato in Filosofia e ho un master in Linguistica. Ho insegnato sino a un anno e mezzo fa in istituti privati e al Politecnico di Milano, sempre con contratti a progetto. I compensi non erano alti; per un corso aziendale devo ancora ricevere i soldi, allora ho detto basta. Ho saputo che era possibile rilevare il chiosco in cui, da studente, lavoravo in estate. Ne conoscevo le potenzialità, sapevo che era in una zona interessante di Milano, nelle vicinanze di Piazza Affari e ho steso un business plan». Lorenzo presenta la sua idea imprenditoriale in Bcc: la banca è convinta della bontà del progetto e ne finanzia lo start up. La nuova gestione comincia il 19 settembre 2012, a un anno e rotto dall’apertura il bilancio è più che positivo. «Tengo aperto 13 ore al giorno –racconta Lorenzo–, dalle 12.00 all’una di notte; quelle che erano semplici potenzialità si sono realizzate. Il giro di clienti c’è, ma quello che mi dà molta soddisfazione è che al chiosco lavorano altre quattro persone, numero non disprezzabile di questi tempi». La domanda si impone: cosa fanno adesso i suoi compagni di Master? «Chi veniva da altri Paesi è tornato a casa, chi aveva una famiglia con un’attività ci lavora, due sono rimasti nel giro universitario e uno è giornalista». Avrebbe mai pensato di gestire un chiosco? «No, naturalmente; quando ne ho parlato in famiglia hanno approvato la mia idea, perché dimostravo realismo. È una tappa importante; non lo considero un punto d’arrivo».

Da chi ha fatto quello che mai avrebbe pensato di fare a chi, varcata la soglia dei trent’anni, ha continuato la propria professione creando una società con dei coetanei: è il caso di Enza Volpe, legnanese 31 anni, che alla fine del 2010, con alcuni soci, ha dato vita a Wom srl (cliente Bcc), società specializzata nell’information technology con sede a Legnano e attiva sul territorio. Sulla scelta di prendere la propria strada con soci della stessa età Enza è chiara: «l’aspetto economico ha la sua importanza, ma quando si vuole intraprendere un’attività in proprio conta anche la possibilità di esprimere la propria professionalità, quindi di lavorare con persone che ti sono affini per impostazione e ambizioni. È chiaro che fra coetanei ci sia più probabilità di parlare la stessa lingua. Se sei dipendente esegui; nella nostra posizione possiamo metterci del nostro, quindi essere più innovativi. Aspetto che, in questo settore, fa la differenza». Wom srl si occupa di soluzioni informatiche a tutto tondo: dal sito web di presentazione a complessi portali di e-commerce o contenuti informativi, dalla singola postazione di lavoro alla gestione di reti informatiche di medie dimensioni. Come sono stati i primi passi? «All’inizio quando ci si mette in proprio sembra di fare un salto nel buio; nel nostro caso l’investimento è stato sostenibile e abbiamo visto i primi risultati dopo soli sei mesi, che è poco se si pensa al momento che stiamo vivendo». Momento difficile e concorrenza agguerrita: ormai anche nell’information technology c’è chi si spaccia come esperto ed è soltanto un dilettante. «Le difficoltà per noi, oggi, non sono date dalla mancanza di lavoro ma dall’esigenza generalizzata di contenere i costi; per lavorare con enti pubblici, poi, ci sono richieste nei capitolati di gara che escludono in automatico le aziende in fase di start up o, comunque, con pochi anni di attività».

Da una trentenne che ha dato vita a un’azienda a chi continua nel solco tracciato dalla famiglia: è il caso di Marco Chiari, 37 anni, che entrerà nel Cda della Cereal Chiari di Busto Garolfo (socio storico della Bcc), oggi formato dal padre e dai due cugini Livio e Sandro. Diplomatosi geometra, non c’è una data di ingresso in azienda per Marco, perché già a otto anni bazzicava fra capannoni e area nuda in cui si movimentano e stoccano i cereali; «quasi senza accorgersene il gioco si è trasformato in lavoro, il mio lavoro attuale -racconta-, che vive le difficoltà del settore agricolo e deve confrontarsi con i nuovi competitor che arrivano dall’Est europeo, ma che portiamo avanti forti di un nome aziendale che è nel settore da decenni e della qualità sul lavoro». Che i tempi migliori per l’agricoltura e le attività legate al settore primario siano alle spalle è convinzione diffusa: quali sono le difficoltà specifiche del momento? «L’instabilità, da anni, è una costante del nostro lavoro, e questo per la globalizzazione del mercato e l’entrata in scena di Paesi con un costo del lavoro di gran lunga più basso del nostro, Serbia, Ungheria e Romania. A fare la differenza sono gli acquisti; bisogna cogliere il momento giusto per comperare una partita di cereali e il momento giusto per venderla. A queste problemi aggiungiamo la normale routine di un lavoro che resta condizionato dalle stagioni, quindi con giornate da 12 ore (festivi inclusi), quando ci sono i raccolti, e altri più tranquilli».

Da ultimo un trentenne che il lavoro l’ha trovato in Bcc; Andrea Piazza di Tradate, 30 anni laureato alla Liuc in Economia aziendale, è oggi in forza all’area Pianificazione Controllo e Risk Management. Il suo ingresso nel mondo del lavoro è avvenuto proprio quando il tempo andava guastandosi. «Dopo la laurea ho lavorato per sei mesi nella contabilità di un’azienda chimica di Uboldo -ricorda-, poi per tre mesi ho fatto sostituzione estiva in Ubi Banca, quindi tre mesi di stage in Fastweb nel controllo di gestione e altri tre mesi di stage a Malpensa Fiere, sempre per il controllo di gestione». E questo con una laurea vincente come economia, oggi la rifaresti? «Economia è sempre stata il mio interesse, magari integrerei con studi più tecnici, ma non mi pento della scelta; il mio lavoro tratta argomenti per cui ho studiato, e questo non accade spesso». Con l’offerta della Bcc finisce il valzer degli stage e Andrea si stabilizza. Com’è andata ai suoi compagni di studio? «C’è chi ha continuato a passare di stage in stage, chi è entrato nell’azienda di famiglia perché non arrivava nulla, chi, addirittura, ha deciso per una seconda laurea. Chi ha avuto meno difficoltà a sistemarsi fra i miei amici e conoscenti ha una professione legata all’informatica; di certo se quando io cercavo lavoro cominciava a essere difficile trovare un posto oggi è molto molto dura».
Daniele Barbone: «Oggi dobbiamo dimenticare il posto sicuro dei nostri genitori. Le nuove generazioni imparino a guardare alle opportunità dell’autoimpiego»
«Inutile insistere: i lavori, oggi, non sono più quelli conosciuti dai nostri genitori. I giovani dovrebbero esserne coscienti quando cercano la propria strada». Se a dirlo è il presidente e Ad di un gruppo con sede a Magnago ma attivo a livello internazionale nella consulenza e nei servizi tecnici, per di più unico italiano delegato al G20 Civil summit 2013 in Russia, può sembrare la solita predica di chi considera i giovani una categoria. Ma Daniele Barbone (nella foto) di anni ne ha 42 e ha fondato BpSec quando ne aveva 34 con un gruppo, in gran parte, di trentenni. Se aggiungiamo che l’età media dei collaboratori si aggira sui 35 anni, le sue parole non sanno più di paternale, ma di dritta di chi sta sul campo. Nata fra 2005 e 2006, BpSec, inizialmente focalizzata sui temi dell’Ambiente, negli anni, ha fatto network di collaborazioni e competenze e adesso, con il progetto Bp Academy, fa formazione innovativa. «Quello che diciamo nei nostri corsi a chi esplora il mondo del lavoro è di spaziare, di non restare ancorati alla sicurezza del posto fisso -dice Barbone-; ci sono interessanti opportunità per la costruzione di reti commerciali, ma c’è anche l’autoimpiego, opzione che le nuove generazioni dovranno prendere seriamente in considerazione». Chi parla questa lezione l’ha messa in pratica: «L’intuizione vincente è stata seguire i clienti in loco, e non soltanto in sede. Perché è girando che si conoscono meglio problemi e opportunità e si creano contatti. È grazie a questa strategia che l’azienda, dall’ecologia, ha allargato il raggio d’azione a sicurezza, controllo qualità, internazionalizzazione e formazione. Chi oggi vuol fare l’imprenditore deve guardare al mondo e saper vendere, cosa che non si insegna e che si pensa, sbagliando, sia frutto dell’estro individuale».
Mario Cappelli: «L’offerta di posti è scesa del 30-40%; c’è troppa enfasi sugli incentivi per le nuove assunzioni»
Come va la dinamica offerta/domanda di lavoro per chi siede alla scrivania di responsabile delle risorse umane? Abbiamo interpellato Mario Cappelli, responsabile Risorse umane e organizzazione aziendale di Inaz srl, una delle più importanti realtà italiane nella produzione software ed erogazione servizi per l’amministrazione e la gestione delle risorse umane. «Cerchiamo persone con competenze verticali; in particolare con esperienza nel campo delle risorse umane o, in quello amministrativo, dell’elaborazione di cedolini ed è frequente incrociare chi ha sempre lavorato come precario». Quanto pesa la crisi nella ricerca di un posto di lavoro? «Ha reso la vita più difficile ai candidati, data la contrazione della domanda del 30-40%; una situazione che perdura e che ha impattato chi è uscito dall’università dal 2008 in poi». Questi laureati, nei casi peggiori, sono ancora alla ricerca di sistemazione, con un problema in più: le leve più giovani, gli under trenta, possono fruire delle agevolazioni per essere assunte. «Io non metterei troppa enfasi sull’effetto incentivi: è vero che ci sono risparmi nei primi mesi, ma una media impresa non fa selezione sulla base di questo. Un’assunzione deve guardare alle capacità di una persona, non al risparmio immediato di qualche migliaio di euro».