Giemme, tecnologia e creatività per l’arte del tessuto a maglia

L’azienda bustocca ha affrontato la crisi forte di una struttura competitiva e super tecnologica. Ma Andrea Della Vedova avverte: «Qualità e innovazione non bastano a salvare le aziende italiane se non si rilancia la manifattura e non si argina la concorrenza sleale»

23Come riuscire a fare impresa in tempi di crisi? Da tempo, su queste pagine, rispondono i titolari di tante aziende del territorio che sanno mantenersi operative, a volte addirittura crescere, nonostante le difficoltà. Ognuno spiega la sua ricetta, ma alcuni ingredienti non mancano mai: innovazione, ricerca di nuovi mercati, capacità di proporre prodotti unici per qualità e creatività. Tutte caratteristiche distintive della Giemme S.p.A. di Busto Arsizio, l’azienda delle famiglie Della Vedova e De Bernardi (l’azionariato è diviso al 50%), specialista nei tessuti a maglia per intimo e homewear. «Ma i nostri asset rischiano di non bastare quando il sistema-Paese non sa darci le condizioni per operare al meglio. Alto costo del lavoro, eccessiva pressione fiscale, regole ambigue sul Made in Italy e mancanza di controlli sulle merci importate stanno minando la tenuta del nostro settore, e non solo». Va subito dritto al punto Andrea Della Vedova, esponente con il suo socio Marco De Bernardi della seconda generazione titolare di Giemme Tessuti. Della Vedova non si limita, però, a invocare un intervento dall’alto. Al contrario, si impegna in prima persona per proporre soluzioni e indicare possibili vie d’uscita. «Occorre un sistema in grado di proteggere e valorizzare le eccellenze italiane in un mercato distorto, di fatto, da una concorrenza sleale. Perché le imprese UE sottostanno a regole giuste, ma onerose, in fatto di qualità e sicurezza. Invece sulla merce che arriva da altri Paesi non c’è alcun controllo. E così, uso le parole di un caro amico, è come competere in una maratona con uno zaino da 30 chili sulle spalle». L’amico in questione è Roberto Belloli, altro imprenditore del settore che negli ultimi anni è stato portavoce di un movimento, quello dei “Contadini del tessile”, che ha riunito oltre 600 aziende italiane promotrici di una legge più efficace a tutela del Made in Italy. «I Contadini –spiega Della Vedova– hanno costruito una rete di imprese, anche della pelletteria e dell’arredamento, che è riuscita a fare approvare quella legge dal nostro Parlamento con una maggioranza quasi bulgara». Il testo, però, si è arenato a Bruxelles nel momento in cui doveva essere armonizzato con i regolamenti UE. Di fatto, è rimasto lettera morta. A mettersi di traverso, alcuni grossi marchi italiani che di Made in Italy hanno ben poco, dato che oggi per fregiarsi di questa etichetta basta solo attaccare gli ultimi bottoni a una giacca, per il resto, fatta in Cina. Ennesima risposta mancata da una politica che, tra l’altro, non ha nemmeno l’alibi di essersi stata colta di sorpresa da trasformazioni imprevedibili dell’economia mondiale. Certi cambiamenti globali erano in atto da tempo. Alla Giemme si lavorava per affrontarli molto prima che si cominciasse a parlare di crisi. «La nostra azienda –spiega sempre Andrea Della Vedova– ha cambiato pelle qualche anno prima del tracollo finanziario. Era necessario. Dal 1966, anno in cui mio padre Ambrogio e Mario De Bernardi, papà del mio socio Marco, hanno fondato l’azienda, eravamo identificati con un certo tipo di prodotto: tessuti per intimo, pigiameria, abbigliamento bimbo per una clientela “media”. Intorno al 2004-05 abbiamo concluso per noi il futuro consisteva nell’alzare il livello, proporci a marchi e stilisti e posizionarci in un settore ibrido, a metà fra l’intimo e l’abbigliamento di moda».

24La nuova strategia comporta per la Giemme una rivoluzione a livello di prodotto, di processo, di organizzazione. Vuol dire sperimentare lavorazioni e filati, studiare le nuove tendenze, arricchire la gamma con prodotti esclusivi e riconoscibili (le etichette Cut it Easy, Tecnel, Elevation). Significa abbandonare tanti clienti storici medio-piccoli e dotarsi dei mezzi per poter rispettare i complicati capitolati dei clienti nuovi, i grandi gruppi internazionali. Una scelta difficile, sostenuta da investimenti onerosi. Ci vogliono anni per vederne i primi frutti. Ma nel 2008- 2009, proprio nell’annus horribilis dell’economia mondiale, ecco che l’azienda torna in crescita. Oggi impiega una quarantina di persone, in uno stabilimento di 6.500 metri quadri in cui si svolge quasi il 100% della produzione («Nei periodi felici in cui le commesse superano la nostra capacità produttiva ci serviamo di terzisti, tutti del Nord Italia» puntualizza Della Vedova) e che è dotato dei macchinari più avanzati, di sistemi di umidificazione e filtratura delle micro polveri, di reparti creativi e di controllo qualità capaci di soddisfare gli standard di mercato più alti. «Sì, nel 2009 posso dire che avevamo vinto la nostra scommessa –conferma Della Vedova– e ci presentavamo sul mercato con la struttura che serviva per poter resistere alle bordate della crisi. Avevamo puntato sulla strategia giusta. E, devo dire, l’aveva fatto anche il Credito Cooperativo, che ci ha accompagnati e seguiti nel nostro processo di trasformazione. Si è comportato da vera banca del territorio, una realtà piccola che trova la sua forza al di là dei numeri. Perché non è semplice far capire a un istituto di credito che devi trasformarti profondamente e rinnovare la tua clientela, tra l’altro riducendo il numero di interlocutori per privilegiarne pochi e grandi; ma la Bcc ha compreso che la direzione da noi intrapresa erano quella giusta». Gli investimenti di quasi un decennio fa oggi pagano. Di anno in anno la Giemme migliora le sue performance in un settore che continua a calare (nel 2012 il fatturato della tessitura italiana è sceso a 8 miliardi di euro, -5,1% rispetto al 2011) e in cui scompaiono quasi tutti i “pesci piccoli” della filiera: dai produttori di filati («Ancora 15 anni fa la nostra materia prima era tutta italiana, adesso siamo al 5%» spiega Della Vedova), ai terzisti, ai tintori, ai piccoli laboratori di confezioni, fino agli empori e alle mercerie, soppiantati dai grandi nomi della produzione e della distribuzione internazionale. Anche le nostre fiere di settore sono diventate marginali: per la prima volta quest’anno Giemme non partecipa a Moda In, la più grande manifestazione italiana che si tiene a Milano, «Perché non è in grado di attirare la clientela internazionale che cerchiamo –spiega Della Vedova– e quindi, non senza rammarico, faremo uno sforzo per essere presenti al salone Première Vision di Parigi, dove ci saranno molte più opportunità da cogliere».

25L’export, soprattutto verso Russia, Est Europa, Cina e Brasile, è infatti una strada che Giemme ha intrapreso con decisione da circa tre anni. Per percorrerla è necessario fare investimenti importanti e saper attendere tempi lunghi perché diano i loro frutti. «Non tutte le porte sono aperte –avverte Della Vedova–. E, soprattutto, torniamo a considerare quel discorso per cui, sulle aziende italiane, grava tutta una serie di problemi che ci rendono meno competitivi della concorrenza, mentre lo Stato fa poco per favorirci sul mercato. Pensiamo solo alla Turchia, un Paese che si sta allineando all’Europa anche per qualità dei prodotti e condizioni di lavoro, e che ha un governo che finanzia le aziende che esportano coprendo il 20% del costo del prodotto». La partita allora si gioca tutta qui, sul proteggere e mantenere qual vantaggio, in termini di qualità della fornitura, che ancora convince i buyer di tutto il mondo a comprare in Italia. «Vede quei macchinari che tessono un filato sottilissimo? –dice Andrea Della Vedova indicando la lavorazione in foto– In Cina, semplicemente, non ce li hanno. Sono una tecnologia e una qualità inarrivabili per loro. Ma non dobbiamo pensare che con la nostra immagine e la nostra innovazione ci salveremo per sempre. Tutto questo può bastare a un laboratorio, però il lavoro e la ricchezza vengono dalla manifattura, e la manifattura ha bisogno di numeri». Numeri che per la nostra industria sono inesorabilmente in calo ormai da troppo tempo.

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