Banche: non tutte sulla stessa barca

Il direttore Luca Barni
L'editoriale del direttore generale della BCC di Busto Garolfo e Buguggiate

Un’istantanea dell’autunno 2011 in Italia? Se mi passate la battuta sbrigativa, tutti sulla stessa barca; il sistema Paese per cui i nodi dovevano, prima o poi venire al pettine, e il sistema bancario che della salute dell’economia è un termometro affidabile. Senza distinzione non stanno bene i grandi istituti, per una sottocapitalizzazione che è diventata evidente a tutti e per le sofferenze che, fisiologicamente, si rastrellano nelle crisi; non stanno bene le banche commerciali e non stanno bene neppure le Bcc. Con una precisazione per il movimento cooperativo: se il problema patrimonializzazione, per noi, non si pone, il ruolo anticiclico che abbiamo giocato nell’ultimo biennio ci colloca, per sofferenze, a livelli percentuali superiori a quelli delle grandi banche. La differenza è che noi non abbiamo ricevuto gli aiuti di Stato riconosciuti ai grandi istituti e, invece, siamo stati colpiti dall’ultima Finanziaria da una doppia tassazione, su Ires come azienda e Irap come banca. Una beffa, visto il sostegno che abbiamo garantito all’economia reale durante la crisi, ma tant’è la Finanziaria non si discute. Tiriamo una riga, allora; come finiremo questo 2011? Dovessimo valutare le nostre scelte strategiche del biennio per quello che hanno prodotto, conti alla mano, dovremmo essere soltanto contenti. La decisione di puntare sui servizi, ossia di operare focalizzandoci sempre di più sul cliente, sta dando risultati importanti. Purtroppo, queste risorse devono essere impegnate diversamente da come vorremmo. Noi, come sempre abbiamo fatto, le impiegheremmo sul territorio ma, diversamente, prenderanno un’altra strada: serviranno ad ammortizzare le perdite sui crediti, ossia quei soldi che le aziende e le famiglie in difficoltà non riescono a restituirci. Allora serve far chiarezza: la Bcc vuole fare il proprio mestiere , con tutti i rischi e le conseguenze che, in un momento di crisi, questa scelta comporta. Distinguiamo però: una cosa è se l’azienda è in crisi per la situazione economica generale, altro, tutt’altro è se l’azienda utilizza in modo improprio la legge fallimentare. Quindi se chiede il concordato, affitta il ramo d’azienda con tanti saluti a banche e fornitori, nonché ai dipendenti di questi. Questo è un gioco che non si deve fare, perché le sue conseguenze colpiscono gli operatori economici più corretti e virtuosi. Non solo: questo meccanismo non può nemmeno durare a lungo perché le risorse, già di per sé limitate, in questo momento sono ai minimi storici. E siccome questi comportamenti danneggiano i concorrenti; dove finiscono a questo punto i principi del mercato e della libera concorrenza di cui tanti si riempiono la bocca? Noi, statene certi, continueremo a fare la nostra parte, come testimonia la percentuale di impieghi/raccolta vicina al 100%: ma per continuare dobbiamo raccogliere sempre nuove risorse. A questo punto sorge una domanda: ma siamo sicuri che affidare a istituzioni finanziarie internazionali i propri risparmi (a rendimenti indubbiamente molto allettanti) aiuti l’economia del territorio? E il sistema Italia a ripartire? Pensiamoci.

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