La reciprocità per fare sistema

Il direttore Luca Barni

Ormai non sono più voci isolate quelle che dipingono la crisi come un fenomeno totale e complessivo, che quindi non si limita a investire con una violenza mai vista prima la sfera economica, ma travolge anche quella dei rapporti fra le persone. Cosa fare di fronte a un’analisi così spietata, ma – io ritengo– sincera? Io dico: proviamo a ricostruire un reale sistema di comunità. Dobbiamo farlo adesso, perché i ritardi non sono più ammessi. E dobbiamo mettere alla base di questo sistema la logica della reciprocità. Una logica che tutti conosciamo, perché regge il primo nucleo della vita sociale, la famiglia. Il punto è: questo modello può essere applicato nelle politiche economiche? In altre parole la reciprocità può essere sistemica? Può essere elemento determinante per lo sviluppo di vere politiche di rete? Me lo chiedo alla luce della nostra esperienza, esaminando quanto, come banca locale, abbiamo fatto nell’ultimo triennio. Abbiamo aumentato gli impieghi, dal 2009 al 2011, del 4%, del 5% e del 6% rispettivamente. E questo nell’ottica di cui dicevo: erogo risorse al sistema per creare sviluppo, generando quindi soddisfazione reciproca. Ma qual è stato il risultato? Abbiamo chiuso il 2011 con il segno meno a causa delle perdite su crediti, e purtroppo, anche quest’anno la stessa voce di bilancio sarà rilevante. Quindi dov’è la reciprocità, dove la risposta all’impegno nei confronti dell’altro? Dobbiamo, alla luce di questa situazione, chiamarci fuori da quello che abbiamo sempre fatto? Nonostante tutto, no. Noi ci saremo ancora a fare la nostra parte, perché continuo a credere che stia nella reciprocità la base per creare relazioni durature, per realizzare un vero sistema di comunità. Non è utopia; è l’economia di cui si riconosce sempre più il bisogno. Soltanto così si può realizzare l’equità nelle transazioni economiche tra soggetti e garantire che le legittime esigenze di tutti possano essere soddisfatte. In questo numero ospitiamo le riflessioni di Stefano Zamagni; l’economista, da tempo, propone di guardare oltre il duopolio Stato-Mercato. Zamagni parla di “economia civile”, quella fatta proprio di rapporti di reciprocità e prossimità, fuori quindi dalla logica che considera soltanto gli estremi: o il business o la carità. Mi è chiaro, ovviamente, che parliamo di imprese che devono recuperare produttività e redditività e hanno precise esigenze di bilancio, e anche noi, del resto, siamo un’azienda che deve rispondere dell’operato ai suoi soci. Però è sempre più evidente come non si possa fare impresa svincolati da obiettivi sociali, che il profitto non sia un valore in sé, da perseguire a ogni costo e a prescindere da ogni altra considerazione. Cito l’economista e banchiere Muhammad Yunus, che ha sottolineato l’insufficienza del sistema delle imprese nell’affrontare molti dei problemi sociali più gravi: “un’impresa con finalità sociali deve essere concepita e condotta come una vera azienda, ma con l’imperativo del vantaggio sociale al posto di quello della massimizzazione dei profitti”. Questo è il modello di sistema in cui e per cui la Bcc vuole continuare a operare, una rete di relazioni in cui –sempre per dirla con Zamagni – l’altro è certamente un limite al mio avere, ma necessario al mio essere.

 

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