A volte basta cambiare una preposizione semplice con una articolata per mutare il senso di una frase. Nel nostro caso, la differenza si fa addirittura più profonda e chiama in causa valori e comportamenti. Perché la nostra Bcc -come tute le Bcc, del resto- è una banca “del” territorio e non solamente un istituto che opera “su” o “per” un territorio. Dirlo e ricordarlo con forza in un momento congiunturale come quello che stiamo vivendo non è né banale né scontato, come ha spiegato l’economista Stefano Zamagni (nella foto) in un’intervista raccolta nell’ambito del progetto identitario “Un Paese chiamato Bcc” della Banca di Bedizzole Turano Valvestino e pubblicata un paio di anni fa su “Vicini di banca”, il periodico della Federazione Lombarda delle Bcc. Una posizione, quella di Zamagni, tutt’altro che superata. Anzi, quanto mai attuale e che abbiamo voluto approfondire, partendo dal ruolo e dalla vocazione storica della Banche di Credito Cooperativo. “Storicamente le Bcc sono nate come banche locali, ma oggi questo non rappresenta più la realtà dei fatti, perché se è indubbio che la singola Bcc opera in un territorio di pochi chilometri quadrati, è altrettanto vero che a seguito del processo di unione a rete compiuto negli ultimi 10/15 anni, ormai il mondo delle Bcc è visto come un gruppo bancario di oltre quattrocento banche e dunque chiamarla locale non è corretto; è riduttivo. Teniamo presente che il gruppo Bcc è il quarto gruppo bancario in Italia -spiega Zamagni-. È giusto, invece, chiamarla Banca del territorio”.
Ma territorio è una parola spesso usata, ultimamente, da tanti istituti bancari…
Ho detto e sottolineo banca “del” territorio, non banca “per” il territorio. La differenza è che anche i grandi gruppi bancari sono banche per il territorio; se guardiamo la loro pubblicità lo scrivono a tutte lettere e lo fanno correttamente. Il significato di Banca per il territorio è quello di una realtà che opera per favorire il territorio. Banca del territorio invece vuol dire una banca che nasce dal territorio, opera sul territorio e ha come fine il dare conto al territorio, cosa che le altre banche non fanno.
Quindi è un problema di reciprocità e di rapporti?
Esatto: il grande gruppo bancario appena intuisce che un certo territorio non risulta più conveniente, smette di operare. La banca del territorio, viceversa, non chiude mai, non delocalizza mai, perché è espressione, dal basso, del territorio stesso. Ecco allora che le Bcc sono le uniche banche del territorio, insieme ad una dozzina di casse di risparmio rimaste legate alla loro vocazione iniziale e non oggetto di acquisizione da parte dei grandi gruppi bancari. La Bcc, unica forma di banca del territorio, deve pertanto mantenere la fedeltà a questa identità. Una volta capito questo, da questa identità derivano tante altre conseguenze. Se, invece, essa viene dimenticata, il rischio è di fare come coloro che, apprestandosi a costruire una casa, si preoccupano della tinteggiatura invece di premunirsi che i muri portanti siano solidi. Dopo un po’ crolla tutto.
Quali strade indica alla Bcc per preservare il proprio patrimonio di valori e di relazioni?
Rispondo con una metafora importante di Platone. Un’immagine davvero molto bella. Dice Platone: “Il solco sarà diritto se i due cavalli che tirano l’aratro marciano alla stessa velocità”. Cosa vuol dire? Che se un cavallo va più veloce dell’altro, l’aratro o va verso destra o verso sinistra, e quindi non è diritto, e quindi non si ha il raccolto.
Fuor di metafora, nel caso delle Bcc quali sono i due cavalli?
L’uno è il cavallo della efficienza organizzativa dei prodotti industriali, l’altro è il cavallo della democrazia solidale. Se il cavallo dell’efficienza organizzativa va più forte dell’altro, la Bcc si snatura, e presto o tardi diventerà come le banche capitalistiche. Se, invece, è il cavallo che abbiamo chiamato della democrazia solidale ad andare più forte dell’altro, il risultato è che la banca di credito cooperativo non è più sostenibile. Ecco allora il punto: il cocchiere, chi guida l’aratro, deve saper far marciare i due cavalli alla stessa velocità. Questo è compito della presidenza, ma in generale è compito del consiglio di amministrazione e dell’assemblea dei soci. È importante dirle queste cose, perché si è assistito in questi ultimi venti/trent’anni ad alcune Bcc che hanno smesso di essere quello che inizialmente erano proprio per questo fatto. In alcuni casi perché hanno puntato tutto sull’efficienza, in altri perché hanno puntato tutto sull’identità democratica. Bisogna, invece, che i due cavalli marcino alla stessa velocità.

Proprio partendo dalla sua espressione di “democrazia solidale”, quale ruolo assegnare in prospettiva al valore della partecipazione nel definire l’identità di una Bcc?
Il ruolo della partecipazione è fondamentale. Il punto è, però, che bisogna ricordarsi che la democrazia ha un costo, la democrazia non è mai a prezzo zero. Il che spiega perché a livello generale – macro, dei Paesi o dei grossi movimenti, ad un certo punto, abbandonano la democrazia. E siccome la democrazia ha un costo, prima o poi c’è qualcuno che si alza e dice “ma noi non siamo più disposti a sostenere questo costo”, e quindi si comincia col tagliare la partecipazione del socio, si comincia a fare le assemblee che durano un quarto d’ora, si arriva a non garantire la trasparenza. Ebbene, in questo modo si ritorna al discorso di Platone: dopo un po’ il solco va storto e la Bcc chiude oppure si trasforma e diventa capitalistica.
E qui ritroviamo uno degli slogan veri delle Bcc: banche che hanno la loro vera forza nella base sociale…
È inutile discutere, la cifra che caratterizza la cosiddetta specificità della Bcc è esattamente nella capacità di coinvolgere nel processo decisionale, secondo determinate forme, la base sociale. Ora, coinvolgere però non vuol dire fare della filantropia. In alcune Bcc si pensa di risolvere i propri problemi distribuendo un po’ di denaro per opere benefiche, in sé buone. Questo non c’entra niente con la democrazia ma attiene alla filantropia. Se una Bcc fa filantropia siamo contenti, ma non è essenziale, perché la filantropia la fanno anche i grandi capitalisti e le grosse multinazionali. Ciò che invece le grandi multinazionali non faranno mai è la partecipazione della base dei soci. Questo è il punto.
Torniamo, quindi, al suo esempio della casa: quello che conta è la solidità dei muri portanti, la tinteggiatura arriva per ultima. E la si fa solo dopo aver messo in sicurezza la costruzione…
Esatto. E, soprattutto, bisogna stare attenti a non mischiare l’acqua con il vino. Alcuni dicono: noi per farci perdonare la scarsa democrazia facciamo regalie, regaliamo le vacanze ai bambini, ai figli dei nostri dipendenti, diamo borse di studio a quelli che vanno all’Università, e così via. Come abbiamo già detto, tutto ciò va bene ma non c’entra niente con la democrazia. Attenzione, perché la democrazia vuol dire partecipazione al processo decisionale, la filantropia significa invece sostenere chi è in difficoltà e assisterlo in determinate circostanze. Guai mischiare le due cose. Ecco perché abbiamo parlato prima di “democrazia solidale”. È chiaro che ci vogliono tutte queste forme di solidarietà però il sostantivo che dà senso è “democrazia”, l’aggettivo è “solidale”. Invece molti svolgono una “solidarietà democratica” anteponendola alla formula della “democrazia solidale”. In questo modo la BCC si snatura, e scompare. D’altra parte che bisogno c’è? Ce ne sono tante di “altre” banche.
PER APPROFONDIRE
CHI è ZAMAGNI
Stefano Zamagni (Rimini, 1943), economista, è professore ordinario di Economia politica all’università di Bologna (facoltà di Economia) e adjunct professor of International political economy alla Johns Hopkins University, Bologna Center. Dal 1985 al 2007 ha insegnato Storia dell’analisi economica alla Bocconi di Milano, mentre per l’università di Bologna ha ricoperto numerosi ruoli, tra cui la presidenza della Facoltà di Economia, impegnandosi negli anni soprattutto negli studi sul mondo del “no profit”, arrivando all’attivazione di uno specifico corso di Laurea (“Economia delle imprese cooperative e delle organizzazioni non profit”). Dal 2001 è Presidente della Commissione Scientifica di Aiccon (Associazione italiana per la promozione della cultura della cooperazione e del non profit) e tra gli ideatori delle Giornate di Bertinoro per l’Economia civile, un momento di approfondimento e dialogo sul ruolo e le attività del terzo settore in Italia.