La reciprocità per fare sistema

Il direttore Luca Barni
L'editoriale del direttore generale della Bcc di Busto Garoldfo e Buguggiate

Come eravamo e come siamo. Lungi da me fare l’amarcord sul rapporto che esisteva un tempo fra banca e clientela per paragonarlo a quello attuale. Riflettere su come si è evoluto negli anni questo rapporto, però, può esserci d’aiuto per trovare il bandolo di una questione che oggi si è di molto complicata. L’impressione è di assistere a un dialogo fra sordi, dove ognuno considera soltanto le proprie necessità. Da entrambe le parti non si esplicitano, in parte o per nulla, le proprie difficoltà, vuoi perché le banche, nella loro operatività, hanno dinamiche che rimandano ad alti livelli, vuoi perché nelle aziende è non comune la capacità dell’autocritica. Come ricalibrare, allora, questo rapporto che la crisi ha complicato? Difficile che le lancette dell’orologio tornino indietro e impensabile non considerare gli effetti prodotti dalla crisi. Quindi il rapporto va costruito su nuove basi. E per essere molto franco indico due valori di riferimento per ripartire: trasparenza e fiducia reciproca. Non è utopia; non sono buone intenzioni prive di legami con la realtà. Il modello di business bancario è stato rivisitato in modo significativo in questi anni. Oggi ci muoviamo su due binari, l’attività d’intermediazione a basso valore aggiunto, per lungo tempo il core business delle banche, e i servizi di consulenza, caratterizzati da qualità e personalizzazione, quelli dove, appunto, è il rapporto a fare la differenza. E qui marchiamo la differenza con il passato. Il nostro Paese è stato banco-centrico, con buona pace di tutti: delle aziende che, anche se sottocapitalizzate, avevano credito, e delle banche stesse, che sino agli anni Novanta hanno avuto bilanci in grande salute. Altra epoca, se si pensa che oggi, per tornare a vedere il nero in bilancio, molti grandi gruppi bancari si sono orientati alla finanza piuttosto che a investire nell’economia reale. Che fare allora? Io non vedo alternative e, per citare il titolo dell’ultima assemblea della Federazione lombarda, dico: “Non ci resta che crescere”. Ma non la crescita impazzita degli anni che ci siamo lasciati alle spalle e che ci ha lasciato i cocci della disillusione. Il nostro presidente Azzi lo ha detto con grande chiarezza: “L’evoluzione non è il prodotto della selezione naturale, ma della capacità umana di organizzarsi socialmente”. Il che, tradotto in termini di modello, significa: la cooperazione garantisce maggiori probabilità di successo economico e di benessere diffuso della competizione. Quindi, fare la Bcc significa ancora, e nonostante tutte le difficoltà e i rischi di chi sta con l’economia reale, non far mancare il credito. E significa anche, per la nostra attività, non far più leva su quel margine di interesse che è ricordo di una stagione passata, bensì rapportarsi al cliente studiando insieme la soluzione più soddisfacente. Per far questo dobbiamo crescere in cultura, organizzazione, strumenti e professionalità; una crescita, quindi, non dimensionale, ma di approccio al mercato, di intensità e profondità nella relazione con i clienti, di reputazione e visibilità. Sarà la nostra capacità di crescere socialmente, quindi nelle relazioni e nei rapporti con la clientela, il primo passo in avanti. Un passo, io auspico, fuori dalla crisi.

 

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