Quando il frumento veniva usato come credito del popolo contro l’usura, prima elementare forma di credito cooperativo dei frati Cappuccini

grano frumento
(foto credits shutterstock)
Si prendeva prestito "a raso", come si diceva, cioè a raso del contenitore, e si restituiva dopo la mietitura "a colmo". La differenza tra "raso" e "colmo" era attorno al 5-7%, più o meno il tasso di interesse considerato legittimo durante il Medioevo, che non superava il 10% e non era inferiore al 5%.

Il frumento è stato al centro di alcune delle prime forme di credito, create dalle persone per le persone, come la prima elementare forma di credito cooperativo. “Il piccolo può essere anche molto bello, molto efficiente, e non sempre il denaro deve essere ciò intorno a cui ruota tutto. La filiera si può accorciare, si può stringere, si può davvero rendere aderente alla vita”, così Luigino Bruni, economista con interessi per l’etica, gli studi biblici e la letteratura, spiega le prime forme di credito cooperativo a “La terra del noi. Dentro l’economia civile”, un podcast realizzato in collaborazione con il contributo di Federcasse, federazione italiana delle banche di credito cooperativo.

Il frumento era al centro di una delle intuizioni che, diversi secoli fa, hanno, se vogliamo, inaugurato un pensiero un po’ diverso sull’uso del denaro, o meglio, un pensiero che arrivava a immaginare un uso ridotto del denaro nel momento in cui poteva favorire l’usura. “La Chiesa ha sempre attribuito un’importanza enorme al tema dell’usura. Si contano 70 concili dal 300 al 1300, in mille anni, in ogni contrada d’Europa, per sottolineare quanto fosse importante il tema dell’usura, perché chiaramente l’usura è una malattia che colpisce soprattutto i poveri, non solo i poveri, ma principalmente i poveri.

Quindi, in un mondo dove c’è poca moneta, l’usura aumenta, perché chi ha denaro lo usa chiaramente a proprio vantaggio. In un mondo con poco denaro, il possesso del denaro dà modo ai suoi detentori di esercitare un potere eccessivo nei confronti delle famiglie delle persone che chiedono prestiti.

Nacque così l’intuizione dei cappuccini, che furono, da un punto di vista geniale, protagonisti del momento francescano, un movimento enorme tra il 200 e il 600, soprattutto in Europa. I cappuccini, come i frati minori, inventarono i monti di pietà, che erano operazioni ancora monetarie, anche se basate su beni dati in pegno in cambio di moneta. I cappuccini, tra la fine del 400 e in particolare tra Umbria, Marche e Abruzzo, inventarono i monti frumentari, dove la “currency”, ossia la moneta usata per questo tipo di scambi, era il grano.

Si ridusse un passaggio, si eliminò la moneta per aumentare la filiera della vita, si accorciò la filiera monetaria e si allungò la filiera della vita.

Come funzionavano esattamente?  All’inizio, nascevano quasi nello stesso luogo dei monti di pietà, perché erano legati agli stessi francescani. Magari in un unico palazzo, in un’unica struttura, c’era la stanza del monte di pietà, che era un monte dei pegni, quindi lavorava sul pegno e in cambio di moneta, mentre nell’altra c’era il grano, con delle banche dei depositi di grano, dove si prendeva prestito “a raso”, come si diceva, cioè a raso del contenitore, e si restituiva dopo la mietitura “a colmo”. La differenza tra “raso” e “colmo” era attorno al 5-7%, più o meno il tasso di interesse considerato legittimo durante il Medioevo, che non superava il 10% e non era inferiore al 5%.

Quindi, erano prestiti fatti in grano, perché il grano era vita, sia come semenza, piantata in autunno e raccolta in estate, ma anche perché veniva prestato in altri momenti, come durante le feste, in particolare a Natale e a Pasqua, poiché la Chiesa ha sempre saputo che si può morire di fame per mancanza di pane, ma si può morire anche per mancanza di festa. Se a Natale o a Pasqua non ho il grano per fare il dolce di Natale o quella pasta locale tipica del mio paese, e non posso farlo con la mia famiglia, significa che la vita è finita. Quindi si prestava anche sapendo che il prestito per il dolce, per mangiare, era un prestito al consumo, con una probabilità di restituzione più bassa rispetto a un prestito per la semina, che poi veniva chiaramente moltiplicato durante il raccolto. Tuttavia, la Chiesa sapeva che gli esseri umani sono molto più esigenti della sola sopravvivenza: siamo animali simbolici e moriamo di fame di cibo, ma anche di fame di festa, di rapporti, di gratuità e di eccedenza.

È molto interessante perché è un’esperienza di credito che si adatta alla vita. Parliamo di frumento, di una società in cui l’agricoltura era al centro, infatti parliamo di un’istituzione che si diffonde specificamente in alcune parti d’Italia. Sì, perché mentre i Monti di Pietà sono istituzioni urbane, nascono nelle città piccole, medie e grandi del Centro Italia tra la metà del 400 e la metà del 500, che è un po’ l’età dell’oro dei Monti di Pietà, in quanto erano le città a domandare moneta, poiché nella città c’è la divisione del lavoro e senza moneta non si può vivere. Tuttavia, restavano fuori due grandi aree: le campagne, e in qualche modo le montagne, le valli e il Sud, perché il Sud d’Italia rimase quasi interamente fuori dai Monti di Pietà, ma divenne la patria dei monti frumentari.

Se ne fecero moltissimi: abbiamo centinaia e centinaia di monti frumentari nel Sud Italia, perché erano istituzioni dei piccoli centri. Abbiamo trovato statuti di monti frumentari in piccoli centri come Maltignano, vicino ad Ascoli Piceno, dove esistevano due o tre monti frumentari nel 1800, in un piccolo centro. Erano così capillari che, quando nel 1861 si fece un censimento con il nuovo Stato unitario, solo nel Sud Italia si contarono 1054 monti frumentari, ed erano già in un’età non di massimo successo. 1054, di cui 300 soltanto in Sardegna, 460 tra Umbria e Marche, una cosa enorme. Purtroppo, la storia economica ufficiale e importante ha derubricato questa parte di storia della Chiesa Cattolica. In realtà, questa è una storia civile, una storia italiana. Non possiamo capire l’Italia senza i Monti di Pietà, senza i monti frumentari, perché non possiamo comprendere l’Italia senza i carismi. Sono state questioni religiose, civili ed economiche. C’è un aspetto che mi ha incuriosito, ed è l’utilizzo della parola “monte”, che è un’immagine ricorrente: monti frumentari, monti di pietà, ma non solo, perché alla fine è ricorrente il concetto del mucchio, dell’accumulo, che è un’immagine molto umana, la ricchezza è dove c’è tanta roba. Alla fine, possiamo dire che era un po’ il mucchio della comunità.

Infatti, ancora oggi, se vediamo alcuni simboli, alcuni stemmi di banchieri, come i Chigi, che erano i banchieri dei papi, troviamo un simbolo fatto di un monte di palline, tre, due, una. C’è l’idea di accumulare. Infatti, si parlava anche di monti dell’abbondanza, dei monti dove si mettevano insieme e si accumulavano le cose che poi servivano a tutti. Questa sarà sempre una grande idea. Pensiamo anche al ruolo che avevano i templi nell’antichità. Il tempio era anche un luogo di accumulo e di distribuzione di risorse per la comunità, un luogo dove si metteva da parte qualcosa. Pensiamo anche al ciclo di Giuseppe in Egitto, i sette anni di vacche grasse durante i quali si accumula per i sette anni di vacche magre in cui si usa. Il ciclo economico nasce nei mucchi, nei fienili, con l’idea che c’è un tempo per accumulare e un tempo per consumare, e le comunità hanno intuito questa saggezza. Purtroppo, stiamo dimenticando queste cose, perché un capitalismo che spinge troppo sul consumo e poco sul risparmio fa sì che basti una crisi congiunturale o uno shock esogeno, dalla crisi dei subprime al COVID, per trovarci improvvisamente senza riserve, senza luoghi da cui attingere per superare i tempi difficili.

È molto interessante. Provando a concludere questo primo viaggio nella terra del “noi”, c’è ancora una cosa: tu giustamente ci raccontavi come spesso i monti frumentari siano nati intorno a comunità molto piccole. Quindi, una delle lezioni che ci portiamo a casa dai monti frumentari è che un’istituzione così delicata, basata sul prestito, sulla restituzione e sul pagamento di interessi, come ci raccontavi, può funzionare anche all’interno di una comunità molto piccola, sfatando un po’ il mito dei nostri tempi secondo cui più sono grandi queste istituzioni, più sono in grado di fronteggiare shock più o meno grandi. Invece, in questo caso, parliamo di istituzioni molto locali che hanno saputo mantenersi in piedi e sostenere le comunità. Sì, come vedremo nella prossima puntata, una delle ragioni della crisi dei monti frumentari fu proprio questa idea dei Borboni prima e dello Stato Unitario dopo di creare un unico grande monte per il Regno di Napoli, da cui dipendessero tutti gli altri come filiali di un grande centro, con le dimensioni di una grande banca. Questo fu una delle ragioni della morte di queste istituzioni. Tuttavia, sappiamo dalla storia del pianeta, dalla storia delle specie viventi e dalla storia umana che non sempre grande è sinonimo di buono.

Sappiamo che, in caso di grandi crisi, non per citare la famosa crisi dei dinosauri e l’emergere dei piccoli mammiferi, tra cui l’uomo, ma quando ci sono grandi crisi, le strutture agili, piccole, veloci, sono più capaci di adattamento e sopravvivenza rispetto alle strutture grandi. Il grande funziona meglio per certe cose, il piccolo funziona meglio per altre. In un mondo come quello dell’antico regime, con grandi crisi, grande vulnerabilità dei più poveri e incertezze strutturali su tutto, mancavano le previsioni e gli strumenti per immaginare scenari semplicemente per il prossimo mese, a partire dal clima. Chiaramente, avere molte piccole strutture distribuite in tanti luoghi è stata una delle variabili decisive per il successo di queste istituzioni finanziarie. L’Italia è anche questo: è il luogo dei campanili, dei piccoli comuni indipendenti, autonomi, ma è anche il luogo delle piccole banche, delle casse rurali, delle casse di risparmio, della piccola e media impresa, perché abbiamo un territorio, una cultura e un umanesimo dove non sempre il piccolo è bello, ma spesso lo è.

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