Con l’emanazione della Legge di Stabilità 2015 e dei decreti attuativi del Jobs Act, la legge delega per la riforma del lavoro approvata dal Parlamento a dicembre, sono in arrivo grossi cambiamenti per le imprese, soprattutto per quanto riguarda assunzioni e licenziamenti. L’obiettivo di questi provvedimenti è quello di creare un mercato del lavoro meno rigido, mettendo mano alla riorganizzazione dei contratti di lavoro e alla disciplina dei licenziamenti, introducendo il nuovo contratto a tutele crescenti e modificando la legge sulla disoccupazione e i rapporti di lavoro a tempo determinato. La complessità applicativa delle nuove norme è molto alta e ci vorrà del tempo prima di capire come reagirà il comparto produttivo e quale sarà la portata di queste trasformazioni, che impattano sul costo del lavoro e sull’amministrazione del personale. Per quanto riguarda le assunzioni, l’obiettivo del Jobs Act è quello di sfoltire le decine di forme contrattuali esistenti per rendere più attraente per le imprese l’assunzione dei lavoratori con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, cioè che aumenteranno con l’anzianità di servizio. Proprio la scelta del contratto a tempo indeterminato sarà la condizione per l’attivazione delle agevolazioni approvate in legge di stabilità: il primo beneficio è una serie di sgravi contributivi Inps (il cui massimale previsto è 8.060 euro su base annua) che consistono in un abbattimento totale dei contributi a carico dei datori di lavoro per tre anni per ogni nuova assunzione a tempo indeterminato di un lavoratore “svantaggiato” (vedremo poi di chi si tratta), mentre il secondo vantaggio consiste nel completo scorporo del costo del lavoro dall’imponibile Irap. Assumere in pianta stabile, quindi, costerà meno? La Uil – Servizio Politiche Territoriali ha eseguito un’elaborazione sullo stipendio lordo anno di un lavoratore medio, 22 mila euro (1.692 euro mensili lordi). Il costo oggi a carico delle aziende, pari a 31.790 euro, con gli sconti a 23.453 euro: -26,2%, pari a 8.337 euro. Un’assunzione a tempo determinato, per contro, costerà il 36,9 per cento in più di un contratto a tutele crescenti. Anche il Sole 24 Ore ha provato a fare un confronto simile, ipotizzando il caso di un giovane operaio metalmeccanico con uno stipendio lordo di 1.589 euro al mese: risulta che i contratti dal costo finale più basso per il datore di lavoro sono l’apprendistato (1.449 euro/mese, ma occorre mettere in piedi un percorso formativo che giustifichi il ricorso a questa forma) e il contratto a tutele crescenti (che costa 1.589 euro). Molto meno appetibili tutte le altre forme precarie. Abbiamo detto che, per i nuovi contratti di lavoro a tempo indeterminato di lavoratori svantaggiati –effettuati con decorrenza 1° gennaio 2015 e fino al 31 dicembre dello stesso anno – ai datori di lavoro viene concesso l’esonero per tre anni dal versamento dei complessivi contributi previdenziali (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL). Chi sono i soggetti beneficiari di questa condizione? Sono persone che, nei sei mesi precedenti, non siano risultate occupate a tempo indeterminato presso un qualsiasi datore di lavoro. Eventuali altre tipologie contrattuali, quali i contratti a termine, non impediscono, nel caso di successiva assunzione a tempo indeterminato, di usufruire dell’esonero. Questo vuol dire che ogni lavoratore è “portatore della dote” dell’esonero per una sola assunzione, anche se rimane da chiarire se, in caso di assunzioni che non abbiano avuto una durata tale da consentire il godimento dell’esonero per l’intero periodo di tre anni, si possa godere della riduzione in misura ridotta in caso di nuova assunzione. Un’ulteriore precisazione: il campo di applicazione degli sgravi previsti dalla Legge di Stabilità è costituito dai datori di lavoro privati, con esclusione dei contratti di lavoro domestico, mentre nel settore agricolo non si applica la disciplina generale ma sono previste regole ad hoc contenute nei commi 119 e 120 dell’articolo 1 della Legge. Va ricordato anche che non sono ammessi allo sgravio i contratti d’apprendistato, che risultano agevolati da altre disposizioni già in vigore e che non vengono modificate dalla legge di Stabilità. La contropartita rispetto a questa auspicata facilità di assunzioni a tempo indeterminato? Una maggiore facilità nel licenziare. Con l’entrata in vigore del Jobs Act si è tornati a parlare molto di Articolo 18, perché il primo decreto attuativo della delega sul lavoro ha modificato il sistema delle tutele in caso di licenziamento illegittimo. In sostanza, l’Articolo 18 sarà ancora valido, ma solo per i vecchi assunti con contratto a tempo indeterminato, mentre per i nuovi assunti il diritto al reintegro sul posto di lavoro ci sarà solo in caso di licenziamenti per motivi non economici. Così, il reintegro resta per esempio quando si è stati cacciati per vie discriminatorie o nulle per legge. La riassunzione vale anche per i licenziamenti disciplinari dove il fatto “materiale”, che deve avere quindi concretezza, si dimostra invece insussistente. In tutte le altre situazioni, quindi in quel che resta dei casi disciplinari e in tutti i licenziamenti economici, la partita si chiude con un indennizzo. È qui che si manifestano le “tutele crescenti” sulle quali si basa il nuovo contratto: le tutele crescenti per i licenziamenti illegittimi partiranno da 2 mensilità per ogni anno di servizio e avranno un tetto massimo di 24 mesi. Il provvedimento prevede anche un indennizzo minimo di 4 mensilità, che scattano subito dopo il periodo di prova: in questo modo si dovrebbero disincentivare i licenziamenti facili. Ci sarà la possibilità di ricorrere alla conciliazione veloce, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità. È comunque previsto un minimo di due mensilità. La nuova normativa sul contratto a tutele crescenti non riguarda solo i licenziamenti individuali, ma anche quelli collettivi. Vediamo, infine, cosa ha deciso il governo il 20 febbraio sui contratti a tempo determinato e sull’apprendistato. Dal 1° gennaio 2016 i contratti a progetto, con cui in Italia sono impiegate circa 502mila persone, saranno eliminati, e durante il 2015 non potranno esserne stipulati di nuovi. Quelli ancora in vigore rispetteranno comunque la scadenza naturale. I contratti a tempo determinato non sono stati modificati: fra proroghe e rinnovi dal maggio del 2014 non possono comunque superare i 36 mesi. Così il lavoro a chiamata. Per quanto riguarda l’apprendistato, saranno ridotti i costi per le aziende, con lo scopo di incentivarne l’utilizzo.
Cosa pensano del Jobs Act le principali associazioni di categoria del nostro territorio: è un buon punto di partenza, ma servirà il coraggio di portare a termine le riforme messe in cantiere
Gian Angelo Mainini – Confindustria Altomilanese
In attesa dei primi decreti attuativi, il Jobs Act mostra già una flessibilità che potrebbe far allineare il nostro Paese alle normative degli altri, facendoci recuperare il gap con i nostri competitor europei. Siamo di fronte a un vero cambio di prospettiva. I mutamenti repentini del mercato impongono una certa elasticità non solo produttiva, ma anche organizzativa. L’impianto complessivo dello schema di decreto sulle tutele crescenti è positivo proprio perché coglie queste esigenze. Viene infatti assicurata la certezza del diritto attraverso il restringimento dell’ambito di applicazione della reintegrazione e la predeterminazione dell’importo dell’indennità dovuta al lavoratore sulla base dell’anzianità di servizio in caso di licenziamento illegittimo. C’è poi un capitolo aperto sui licenziamenti collettivi, quelli connessi ai processi di ristrutturazione aziendale, dove è importante vengano applicate le stesse procedure semplificate –indennizzo- previste per i licenziamenti individuali. Per evitare il rischio di creare nuove rigidità e un mercato del lavoro a due velocità, sarebbe opportuno che le modifiche alla disciplina del contratto a tempo indeterminato si estendessero a tutti i rapporti di lavoro, compresi quelli in essere, e che questo avvenga in tempi rapidi. Di sicuro il cambio di passo introdotto dalla riforma, in linea con le indicazioni venute da importanti istituzioni europee e anche internazionali, dovrebbe favorire l’occupazione e gli investimenti, non solo locali, nel nostro Paese.
Gianfranco Sanavia – Confartigianato Imprese Altomilanese
Dall’analisi dei nostri esperti, sono positivi i primi effetti della riforma per l’artigianato e le piccole imprese, così come gli sgravi contributivi per le nuove assunzioni previsti dalla Legge di stabilità. Dobbiamo accontentarci, la strada da percorrere è ancora lunga. Una positiva rivoluzione è solo accennata, si tratta di capire se si vuole andare avanti o se ci si fermerà nella palude burocratica o, peggio, se si proseguirà con la politica del dar con una mano e riprendersi – molto di più – con l’altra, vedasi reverse charge e anticipazioni varie.
Giovanni Brugnoli – Unione degli Industriali della Provincia di Varese
La legge delega e i decreti attuativi oggi in discussione raccolgono molte nostre aspettative e molte delle proposte avanzate da Confindustria. Il cambio di paradigma, più volte da noi auspicato in passato, sicuramente c’è. Soprattutto nelle disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato che contengono importanti novità e che colgono a nostro avviso l’obiettivo di favorire le assunzioni a tempo indeterminato, garantendo anche alle parti la certezza in merito alle conseguenze di recesso del rapporto di lavoro. A nostro avviso è sbagliato pensare che con il Jobs Act si stiano abbassando le tutele del lavoro, esse stanno semplicemente cambiando. Il vero cambio di paradigma della nuova normativa è il passaggio dal concetto di tutela del posto di lavoro, alla difesa del lavoro e della capacità occupazionale delle persone. Non è il diritto al posto a dover essere salvaguardato, bensì la possibilità delle persone di liberare le proprie potenzialità e di reinventarsi quando il posto viene perso. Con un accompagnamento alla riqualificazione. È questa una tutela fino a oggi sfuggita al nostro legislatore, che pensiamo venga, invece, centrata con questa riforma. Manca, però, quello sforzo in più, quel coraggio mancato nell’estendere l’applicazione delle modifiche alla disciplina del contratto a tempo indeterminato a tutti i rapporti di lavoro, compresi dunque anche quelli in essere, non solo quelli futuri. Ciò avrebbe potuto evitare il rischio, dietro l’angolo, di nuove rigidità nella circolazione dei lavoratori.
Davide Galli – Confartigianato Imprese Varese
Il Jobs Act potrebbe dare una spallata al problema della disoccupazione. La decontribuzione per tre anni in caso di assunzioni a tempo indeterminato, gli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo e i contratti a termine senza alcuna modifica hanno suscitato curiosità tra le imprese. Il Jobs Act una certa attenzione nei confronti dei piccoli l’ha avuta (anche se si può ancora correggere il tiro e concentrarsi di più sui bisogni reali delle aziende) ed è per questo che pensiamo si stia partendo con il piede giusto: lo sforzo da parte del Governo è positivo e la direzione corretta. La riforma del mercato del lavoro è un provvedimento ambizioso che, questo Confartigianato lo ha sempre sostenuto, non deve portare incrementi di costo alle aziende ma restituire competitività al tessuto produttivo del nostro Paese.
I sondaggi
L’insicurezza occupazionale
Nonostante i dati ufficiali recentemente diffusi dall’Istat segnalino una diminuzione del tasso di disoccupazione, il percepito degli italiani evidenzia una situazione di forte incertezza occupazionale, che permane su questi livelli ormai da mesi. Il 39% degli italiani, secondo le ultime rilevazioni settimanali dell’istituto Ixé, ha “molta” o “abbastanza” paura di perdere il lavoro, o che lo perda un proprio familiare. Inoltre solo il 28% degli italiani ritiene sia possibile trovare un lavoro nell’arco di soli 12 mesi.
In Europa sono gli Italiani i più spaventati dalla disoccupazione
Più del terrorismo, delle guerre, delle pandemie, dei cambiamenti climatici: in cima alla lista delle preoccupazioni, per i nostri connazionali, c’è la perdita del lavoro, a differenza di ciò che accade negli altri Paesi europei. L’ha evidenziato il Guardian, quotidiano britannico. Il terrorismo è indicato come la minaccia più grande in UK, Francia e persino Spagna, Paese che, come il nostro, sperimenta alti tassi di disoccupazione. In Italia, invece, la paura di perdere il posto è più grande persino del terrore ispirato dall’ISIS.