Il Made in Italy che piace agli stranieri

I dati delle camere di commercio di Varese e Milano dicono che il Nord almeno rappresenta un terreno fertile per gli investimenti che arrivano da oltre confine

Detto che da anni tiene banco sui media il modo con cui l’Italia guarda e si rapporta all’Europa, perché da questo dipendono le politiche economiche del nostro Paese, altrettanto importante, in prospettiva crescita, è capire come il mondo guardi all’Italia. La ritiene un cavallo su cui puntare risorse per lo sviluppo del proprio business o è soltanto la meta irrinunciabile degli stranieri più danarosi per turismo e shopping nel tempo libero? La recente acquisizione dell’intero comparto immobiliare di Porta Nuova a Milano da parte del fondo Qatar Qia –affare stimato in due miliardi di euro– è l’ultimo capitolo dello “shopping” straniero nel Bel Paese; una tendenza, questa, che assimila la città dell’Expo alle grandi città europee dell’occidente, Londra e Parigi su tutte, dove i plutocrati dell’oro nero e i nababbi del Far East, negli ultimi anni, hanno fatto incetta di grandi nomi. Sulla necessità di essere attrattivi per gli investitori esteri, del resto, il premier Matteo Renzi si è pronunciato già nei primi mesi trascorsi a Palazzo Chigi: “attirare gli investimenti stranieri per invertire il ciclo economico e tornare a crescere”. Un vantaggio competitivo c’è, anche se nasce dalle difficoltà degli ultimi anni. Il Governo ha compreso che è il momento di intercettare il flusso di capitali pronti a essere investiti in Italia, approfittando del fatto che sette anni di recessione hanno creato le condizioni per comprare a prezzi più che vantaggiosi non solo i titoli di Stato, ma anche le aziende. L’aspetto critico, ricordato dal Fondo Monetario internazionale, è che le Pmi italiane sono di dimensioni modeste, con fatturati troppi limitati e scarsa propensione internazionale per essere realisticamente appetibili. Così il premier ha individuato, innanzitutto, il piano di privatizzazioni delle imprese controllate dallo Stato e non ha perso occasione per presenziare a momenti come l’accordo tra Shangai Electric e Ansaldo Energia o di pronunciarsi in termini positivi su altre acquisizioni , come quella di Indesit da parte di Whirlpool, definita “fantastica”. Una lettura comprensibile, se si pensa agli ultimi dati disponibili degli investimenti diretti in Europa, quelli relativi al 2013. Nel 2013, secondo le rilevazioni contenute nell’Advisory Board di WPP sull’attrattività del sistema Italia, infatti, il valore degli Investimenti Diretti Esteri (Ide) nel 2013 è stato nettamente inferiore rispetto ai nostri omologhi europei. Gli IDE in Italia, infatti, rappresentano circa un terzo di quelli attratti da Francia e Germania e ammontano intorno al 60% di quelli spagnoli; una situazione i cui motivi sono essenzialmente da ricercare nell’eccesso di burocrazia, nei tempi lunghi per la giustizia e in un sistema fiscale gravoso. Al di là di questi handicap strutturali, è da sottolineare che negli ultimi cinque anni gli Ide sono aumentati del 4%, una performance migliore di Francia (+3%), Germania (+3,7%) e Spagna (+3%). Grandi imprese e fondi stranieri continuano a interessarsi e a investire per acquisire poli di eccellenza italiani, mentre grandi player internazionali hanno realizzato o stanno realizzando importanti investimenti nel nostro Paese (di cui elenco nel box di pag 25). Ma al di là dei grandi nomi che fanno le cronache nazionali, come si presenta la situazione sul nostro territorio, tradizionalmente fertile per le imprese, al di là di grandi nomi stranieri, ormai storici, Whirlpool e Agusta Westland, per tutti? Un’indagine dell’Ufficio studi della Camera di Commercio di Varese condotta con la banca dati “Reprint Politecnico Milano-ICE” e diffusa a fine 2014 restituisce un saldo positivo; dal 2006 al 2012 (ultimi dati di fatturato disponibili) gli investimenti diretti esteri sono infatti cresciuti dell’8,1%. In numeri, sul territorio della provincia di Varese, sono 213 le aziende con capitali stranieri, e in queste lavorano oltre 19mila dipendenti.25 Gli investimenti esteri in provincia valgono 7,3 miliardi di euro e toccano ben quaranta settori, fra i quali predominano il manifatturiero (38%) e il commerciale (38%), segue altri servizi alle imprese (11%); da sottolineare l’interesse con cui dall’estero si guarda agli sviluppi della logistica, comparto che, in percentuale, vale l’8%. All’interno del manifatturiero prevale il settore delle macchine e impianti meccanici, a seguire i prodotti elettrici, elettronici e ottici e le materie plastiche. Interessante notare come gli investimenti esteri, nel 57% dei casi, abbiano dato vita a nuove imprese e, per la parte rimanente ad acquisizioni di quote aziendali. Rispetto ai nuovi insediamenti, molti di questi hanno riguardato strutture della distribuzione commerciale e della logistica o branche di holding: queste voci complessivamente raccolgono il 56% dei casi. L’ambito produttivo vero e proprio è limitato al 22% degli investimenti diretti esteri. Passando in esame la nazionalità degli investitori esteri, delle 213 “multinazionali” operative a Varese oltre la metà di queste imprese vede la partecipazione di soggetti della UE (113). Il resto registra, soprattutto, la presenza di capitali nord americani (35) e riferiti ad altri paesi europei non aderenti all’UE (34). In forte crescita risulta l’interesse di Asia centrale e orientale: da 10, nel 2006, alle 32 imprese partecipate sei anni dopo. Per quest’area è forte l’incremento degli investimenti provenienti da India e Cina. Se appare in decrescita il flusso proveniente dai Paesi che, storicamente, hanno mostrato

Lo shopping delle grandi firme

È la globalizzazione, bellezza, quella che si palesa con fragore in grandi affari, come lo sono stati negli anni scorsi i cambi di bandiera di Valentino, acquistato nel 2012 da Mayhoola for Investments, società del Qatar; di Loro Piana dal polo del lusso LVMH e di Krizia, acquistata da Shenzen Marisfrolg Fashion, azienda attiva nel mercato asiatico del pret-a-porter d’alta fascia. Fuori dal mondo moda negli ultimi anni sono state acquisite Ducati da Audi, Pomellato da Kering (ex PPR), Pernigotti dal gruppo turco Toksoz, Indesit da Whirlpool, Poltrona Frau (59% a Haworth) e Ansaldo Energia (40% a Shangai Electric per 400 milioni di euro). A fine febbraio Finmeccanica ha raggiunto l’accordo per vendere Ansaldo Breda e il 40% di Ansaldo STS al gruppo giapponese Hitachi, la cui offerta è stata preferita a quella di una cordata cinese. Hitachi pagherà 9,65 euro per ogni azione di Ansaldo STs posseduta da Finmeccanica e lancerà un’Opa sul resto del capitale. Inoltre Hitachi verserà 36 milioni di euro per AnsaldoBreda. Si tratta della maggiore acquisizione estera per Hitachi e il maggior investimento nipponico in Italia di sempre. La Philip Morris ha investito 500 milioni di euro per uno stabilimento nel Bolognese che, entro il 2016, punta a una produzione di 30 miliardi di sigarette (che non bruciano) entro il 2016. Infine Amazon, colosso del commercio elettronico, ha allestito una struttura per il supporto tecnico della clientela vicino Cagliari e ampliato il centro di distribuzione di Castel San Giovanni vicino Piacenza che assumerà oltre mille nuovi addetti.

 

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