La pensione di reversibilità non può essere decurtata – in caso di cumulo con ulteriori redditi del beneficiario – di un importo che superi l’ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi.
È quanto ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 162 depositata oggi (redattrice Maria Rosaria San Giorgio), accogliendo una questione sollevata dalla Corte dei conti del Lazio sull’articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995, sul cumulo tra pensione di reversibilità e redditi aggiuntivi del beneficiario.
Nella fattispecie, la titolare di una pensione di reversibilità, che per due annualità aveva beneficiato di propri redditi aggiuntivi, si era vista decurtare il trattamento pensionistico di una somma superiore all’importo di questi redditi.
La Corte ha rilevato l’irragionevolezza di una simile situazione che si pone in contrasto con la finalità solidaristica sottesa all’istituto della reversibilità, volta a valorizzare il legame familiare che univa, in vita, il titolare della pensione con chi, alla sua morte, ha beneficiato del trattamento di reversibilità. Quel legame familiare, anziché favorire il superstite, finisce paradossalmente per nuocergli, privandolo di una somma che travalica i propri redditi personali.
Pertanto, nel ribadire che il cumulo tra pensione e reddito deve sottostare a determinati limiti (dovendosi bilanciare i diversi valori coinvolti), la Corte ha precisato che, in presenza di altri redditi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.