Come ormai consuetudine, anche quest’anno durante l’assemblea di Federcasse si è tenuta la “Lectio Cooperativa”, affidata al rettore dell’università Cattolica del Sacro Cuore, Franco Anelli, sul tema «Armonizzare senza omologare. Trent’anni di testo unico bancario e dieci anni di unione bancaria. Nuovi equilibri tra individualità e coralità delle Bcc». Nella sua “Lectio”, il professor Anelli ha ripercorso l’excursus storico che ha visto il sistema delle banche cooperative e mutualistiche organizzarsi per venire incontro alle esigenze di rafforzamento di volta in volta sollecitate dalle circostanze storiche o fattuali. Fino a soffermarsi sulla figura originale dei Gruppi bancari cooperativi, che mantengono in equilibrio le funzioni di direzione e coordinamento sulle Bcc aderenti con il rispetto della loro autonomia e la tutela della mutualità.
«Le caratteristiche organizzative e operative delle realtà del credito cooperativo sono non di rado state rappresentate come una sfida alle leggi dell’economia -ha detto Anelli-; constatazione ancora di recente espressa con toni perentori, o forse è più corretto dire preoccupati, parlando di una “sostanziale incapacità delle Bcc di fronteggiare le sfide imposte dalla globalizzazione dei mercati”, quale conseguenza appunto delle loro peculiarità: voto capitario, limiti al possesso azionario e alla distribuzione degli utili, esercizio del credito prevalentemente a favore dei soci, localismo. I primi, i connotati societari, ostacolano l’accesso al mercato dei capitali; l’ultimo, il radicamento territoriale, si presta a una duplice lettura. Per un verso esprime la sostanza personalistica del fenomeno della mutualità. La banca cooperativa opera a favore di un contesto sociale del quale è espressione; è legata alle persone raccolte in comunità. Non è, questa, un’oleografica narrazione, ma un dato strutturale. Si può benissimo essere capitalisti da soli, ma non si può pensare di cooperare, di agire mutualisticamente, da soli. La cooperativa è pensata come strumento di produzione e condivisione di vantaggi necessariamente collettivi e che, essendone preclusa la ripartizione, collettivi sono destinati a rimanere. In questa prospettiva, la funzione originaria del credito cooperativo è evidentemente quella di sovvenire un certo territorio favorendo la creazione di ricchezza, assicurando provvista di risorse da iniettare nel sistema anche in funzione di stabilizzazione nei momenti difficili. Essere il “salvadanaio” della comunità».
Anelli ha poi spiegato che la risposta ai «rischi prodotti dalla globalizzazione, che ha portato le onde dell’oceano nei mari chiusi nei quali le Bcc operavano» è stata trovata anche nei progetti di “autoriforma” del sistema bancario cooperativo, per i quali è stato «necessario agire con originalità e mettere in campo strumenti giuridici in parte inediti», passando da un’organizzazione a rete alla costituzione di un gruppo integrato, nel quale un solo soggetto è stato reso interlocutore, o meglio ausiliario, di vigilanza, ossia la capogruppo. Sintetizzando, si tratta di una struttura che assegna poteri penetranti alla capogruppo, tanto che si potrebbe domandare se ciò si traduca in un sacrificio della libertà di iniziativa economica delle Bcc (le quali peraltro conservano la licenza bancaria, mentre altri modelli europei riducono le banche aderenti a “sportelli” del gruppo). In realtà, si tratta di un mezzo per assicurare la possibilità per le banche aderenti di rispettare quelle prescrizioni di vigilanza che, a cominciare dalle esigenze di stabilità del gruppo nel complesso e delle singole aderenti, costituiscono il presupposto dell’operatività delle aderenti. Insomma le banche aderenti conservano la propria libertà di iniziativa economica assoggettandosi ex contractu alla direzione e coordinamento di una società costituita a quello specifico scopo dalle stesse banche aderenti».
Tutto questo preservando la mutualità. «La legge, e lo stesso statuto di Federcasse, impone infatti alla capogruppo di esercitare le proprie prerogative e poteri di interferenza “nel rispetto delle finalità mutualistiche e del carattere localistico” delle banche e prescrive un processo di consultazione, anche mediante assemblee territoriali. Ciò permette di sostenere che non vi è contrapposizione, nel disegno del gruppo e in una sua corretta attuazione, tra scopo mutualistico delle banche e statuto lucrativo della capogruppo, perché la missione di quest’ultima è quella di esercitare la propria funzione di direzione e coordinamento per assicurare la realizzazione delle finalità e delle Bcc aderenti, le quali continuano a operare con i caratteri e perseguendo le utilità proprie della mutualità, non quella della remunerazione del capitale».
«Ma il gruppo bancario cooperativo è figura recente e originale e la legge del 2016 è stata l’occasione per costruire una risposta strutturata a necessità, e debolezze, che la cooperazione di credito ha manifestato fin dalle sue origini -ha concluso Anelli-. Il gruppo è ora atteso alla prova della sua concreta capacità di operare come strumento di consolidamento e propulsione, rendendo possibile l’indispensabile modernizzazione nella fedeltà alla tradizione e ai suoi valori. Vi sono molte ragioni per esprimere convinta fiducia in proposito, proprio alla luce della capacità che il sistema delle banche cooperative ha dimostrato nell’uscire da un momento critico concorrendo alla progettazione di un’epocale riforma, pur non dimenticando, quanto meno per consapevolezza dei limiti cui può spingersi il nostro sguardo, quanto scriveva alla fine dell’800 Maffeo Pantaleoni: “dell’avvenire delle società cooperative possono discutere, con competenza, soltanto i profeti”».