Disagio sociale: paese da ricucire. In ginocchio 3 milioni di famiglie

Confcooperative e Censis fotografano il quadro emergenziale: povertà delle famiglie, lavoro povero, lavoro nero, difficoltà delle imprese. Nel nostro territorio la zona con la maggiore concentrazione di situazioni di fragilità sociale è nei territori di interscambio tra varesotto e milanese

«Il disagio sociale supera i confini della povertà conquistando nuovi spazi, inghiottendo 3 milioni di famiglie per un totale di 10 milioni di persone, mietendo nuove vittime tra coloro che fino a oggi pensavano di esserne al riparo. Undici famiglie su cento hanno una spesa per consumi sotto la soglia di povertà. Almeno 300mila imprese rischiano di crollare sotto il peso di oltre 300 miliardi di debiti, rischiando di far ingrossare le file della povertà con pesanti contraccolpi per l’occupazione di circa 3 milioni di persone. Si preannuncia un autunno caldo a cui dare risposte». Questo il quadro sociale descritto da Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, presentando il focus Censis Confcooperative “Un paese da ricucire”, in cui il quadro emergenziale è fotografato dalla povertà delle famiglie, dal lavoro povero e dal lavoro nero, dalle difficoltà crescenti delle imprese con contraccolpi sull’occupazione e sul credito.
Un’indagine che fa il pari con quella presentata dall’osservatorio sulla fragilità della Liuc, da cui emerge una maggiore concentrazione di situazioni di fragilità sociale nei territori di interscambio tra la provincia di Varese con l’ambito milanese e un quadro complessivo che vede la provincia di Varese al primo posto per popolazione superiore ai 15 anni che non produce, con i giovani che faticano a inserirsi nel circuito lavorativo.
Tornando ai numeri di Corfcooperative e Censis, va detta che tra assoluta e relativa la povertà nel nostro Paese colpisce circa 3 milioni di famiglie, pari a circa 10 milioni di persone. Il numero di famiglie in povertà assoluta è di 1 milione e 960mila, l’equivalente di 5 milioni e 571mila persone. Mentre sono 2 milioni e 895mila le famiglie, cioè 8 milioni e 775mila persone, che vivono in condizioni di povertà relativa. Percepire un reddito da lavoro dipendente non è più sufficiente a mettersi al riparo dal rischio di cadere in povertà e da condizioni di disagio dalle quali può diventare difficile affrancarsi. Sul totale degli oltre 22 milioni di occupati si parla di lavoro povero per il 21,7% (circa 5 milioni) che svolge lavori non standard: dipendenti a termine, part time, part time involontario, collaboratori. I più colpiti da queste condizioni di precarietà economica e sociale sono i giovani (38,7% nella classe d’età 15-34 anni) e le persone con basso livello di istruzione (il 24,9% ha la licenza media). Sono invece 4 milioni i dipendenti “a bassa retribuzione”, ovvero inferiore a 12mila euro, nel settore privato e di questi 412 mila hanno un lavoro a tempo indeterminato e full time. Passando al lavoro nero, sono 3,2 milioni gli occupati irregolari. Di questi 2,5 milioni nei servizi; 500 mila i “falsi autonomi” e 50 mila i lavoratori delle piattaforme.

Sul futuro della tenuta sociale nel lungo periodo pesa la condizione dei pensionati: il 40% di loro, ovvero 6,2 milioni di persone, sono quelli “poveri”, che percepiscono cioè un reddito pensionistico nell’anno uguale o inferiore ai 12 mila euro. Il 60% delle pensioni di anzianità o vecchiaia non raggiunge i 10 mila euro all’anno. La pensione di cittadinanza – con un importo medio mensile di 248 euro – è percepita da 126mila pensionati, di cui circa un terzo costituito da persone in condizioni di disabilità.
Tornando ai dati dell’osservatorio sulla fragilità della Liuc, si scopre che di tutte le province della Lombardia, tra il 2017 e il 2020 in termini di crescita del reddito per dichiarante solo Como ha fatto peggio della zona della provincia di Varese. E, ancora, che il reddito pro-capite medio del nostro territorio è di 15.342 euro, con un’alta quota di residenti (22,3%) che dichiarano meno di 10mila euro. E, infatti, anche l’osservatorio Caritas del nostro territorio fotografa una situazione davvero difficile: «I nostri dati partono dall’incontro con le persone nei centri d’ascolto -dice il direttore Luciano Gualzetti-. Dopo la pandemia molte persone hanno continuato a ricorrere alla Caritas: il 41 per cento delle persone continua a essere presente e il 15 per cento di questi è ancora bisognoso. Molti sono anche lavoratori, ma con un reddito insufficiente. Infine, il 44 per cento delle persone che si rivolgono a Caritas ha il reddito di cittadinanza».
«Disagio sociale e povertà sono temi su cui da sempre la nostra Bcc è impegnata -ricorda il nostro presidente Roberto Scazzosi-. In tempi recenti sono da ricordare il progetto di microcredito lanciato con il comune di Busto Garolfo e la locale Caritas e il sostegno che negli ultimi anni riserviamo alle cosiddette mense dei poveri».

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