«Tra banche e imprese l’elastico è molto teso. Dobbiamo tutti lavorare per fare in modo che si allenti, ricostruendo il rapporto tra le parti attraverso il dialogo e la comprensione delle differenti ragioni. Avendo chiaro che stiamo vivendo un periodo di trasformazione epocale e che, quindi, il rapporto tra banche e imprese è mutato ed è destinato a cambiare ulteriormente rispetto al passato. Quel che è certo è che le richieste di finanziamenti per sostenere investimenti e sviluppo saranno sempre guardate con grande attenzione e troveranno risposte». Mauro Colombo, imprenditore, vice presidente della Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate e da pochi mesi membro della giunta di Confindustria Altomilanese, così inquadra uno degli argomenti più scottanti degli ultimi tempi: il rapporto tra imprese e istituti di credito. Una questione che da un paio d’anni è regolarmente sugli scudi, sia a livello nazionale sia locale, e il cui dibattito sul nostro territorio si è recentemente infiammato con la diffusione dei risultati dell’indagine sul credito effettuata dall’Unione degli industriali della provincia di Varese. «Sul territorio varesino la situazione dei rapporti tra imprese manifatturiere e sistema bancario rimane difficile -nota Univa- e i temi sono quelli dell’aumento dei tassi di interesse, della riduzione dei fidi, della mancata comunicazione dei rating assegnati e soprattutto, la crescente preoccupazione per la nuova commissione disponibilità fondi. Una commissione -proseguono gli analisti dell’Unione Industriali- che viene applicata dalla quasi totalità degli istituti di credito, che ne chiedono la liquidazione ogni tre mesi, con un valore medio che si attesta sullo 0,38%, vicino dunque al massimo consentito per legge dello 0,5% (la nostra Bcc applica la commissione con un media dello 0,25, ndr). La commissione disponibilità fondi -chiosa Univa- viene applicata dalla banche sul valore del fido concesso, anche se non completamente utilizzato dall’impresa. In pratica se, per esempio, viene concesso un fido per un importo di 1 milione di euro e l’impresa ne utilizza solo 600mila, lo 0,38% corrisponderebbe, per questo ipotetico caso aziendale, ad un esborso di oltre 15.000 euro all’anno».

Ma certo non si può considerare un problema la commissione di disponibilità fondi, che peraltro è stata inserita per norma di legge: la stessa con cui il governo ha eliminato la vecchia commissione di massimo scoperto e le varie spese di istruttoria fido. Semmai, se un problema esiste nell’ipotetico caso portato da Univa, è il fatto che si tengano ferme disponibilità di credito che non si utilizzano. Anche perché, così facendo, di fatto si impedisce alla banca dell’esempio di prestare ad altri imprenditori quei 400mila euro inutilizzati. E questo perché la liquidità deve essere sempre garantita al cliente. In altre parole: tenere ferme linee di credito per lasciarle a disposizione dell’azienda che non le usa è un servizio che la banca eroga all’impresa. E che, come tale, non può non richiedere un corrispettivo economico. Perché quello che una volta era un comportamento abbastanza normale, oggi non lo può essere più, dal momento che la situazione è profondamente cambiata. «Non a caso ho parlato di trasformazione epocale -riprende Mauro Colombo-. Negli ultimi due anni, il costo della liquidità per le banche è aumentato di continuo a causa della crisi del sistema Italia, che ha portato ad un deciso incremento dei costi della raccolta. E, quindi, la messa a disposizione di liquidità è diventata sempre più un costo. E la banca lo deve spesare. Perché la banca è un’impresa che vende servizi e che deve far quadrare i bilanci, come qualunque azienda». Certo, comprendere questo concetto oggi non è semplice, specie per un sistema delle imprese che, dati alla mano, sembra avere sempre considerato il credito bancario come la propria principale fonte di finanziamento. Una mentalità che, senza cercare colpe o colpevoli, ha portato le piccole e medie imprese italiane al triste primato di essere le più indebitate nei confronti delle banche in Europa. Nel nostro Paese, infatti, l’incidenza dello stock di debiti bancari rispetto al patrimonio risulta elevato, raggiungendo valori superiori al 100% per le imprese con fatturato inferiore ai 10 milioni di euro, mentre per Germania, Francia e Spagna tale incidenza è in media del 48%. Ed ora è tutto più difficile, ma è un dato di fatto che la difficile congiuntura economica porti alla necessità di una corretta valutazione da parte delle imprese della liquidità di cui hanno davvero bisogno. Anche perché una puntuale analisi finanziaria andrebbe a tutto vantaggio del sistema delle imprese, permettendo sia di risparmiare sui costi del servizio erogato dalle banche, sia di liberare risorse per chi necessita di credito. «Certo, e lo dico da imprenditore -riprende Mauro Colombo-, per le aziende fare una corretta valutazione del credito di cui hanno davvero bisogno non è semplice. E, poi, è sicuramente più facile mantenersi delle linee di credito a disposizione per le necessità improvvise, che in questo periodo vengono acuite dalla crisi e dai ritardi nei pagamenti. Ma la stessa congiuntura economica che ha creato questa situazione ha dato la scossa a riforme e novità che aspettavamo da tempo e che dovrebbero liberare maggiori risorse per le aziende, aiutandole a spostare la leva finanziaria dal credito bancario al patrimonio interno. Penso, giusto per fare un esempio, al nuovo regime dell’Iva per cassa, che è entrato in vigore da questo mese di dicembre e che riguarda soprattutto le piccole imprese (ovvero con un fatturato annuo inferiore ai due milioni di euro, ndr), che da adesso in avanti non dovranno più anticipare il versamento dell’Iva con l’emissione di una fattura ma la verseranno solo a seguito dell’incasso del corrispettivo». «Io credo che si debba lavorare per cambiare la natura bancocentrica del sistema aziendale italiano -prosegue il nostro vice presidente-. Personalmente vedo tre cicli di vita dell’impresa: la fase di avvio, in cui l’impresa appena costituita non ha una reputazione affermata né risorse accumulate sufficienti a dare opportune garanzie e in cui l’autofinanziamento, nella forma di capitale iniziale di dotazione e di flussi di cassa generati dalla gestione, dovrebbe coprire la quasi totalità del finanziamento. Poi c’è la fase di crescita, che vede la messa in atto di progetti di investimento e in cui i prestiti bancari giocano un ruolo importante con dei finanziamenti a medio termine. Quindi, superate le due prime fasi critiche, arriva la fase della stabilità, quella in cui l’indebitamento deve tendere a ridursi e in cui deve prendere corpo la tendenza a finanziarsi maggiormente con il capitale di rischio e con il cosiddetto autofinanziamento, ovvero con gli utili dell’impresa non distribuiti e mantenuti all’interno dell’azienda. È chiaro che la seconda e la terza fase si rincorreranno di continuo, perché l’azienda ha la naturale tendenza a crescere e a investire per diversificare il business. Ecco, allora, che il ricorso al prestito bancario sarà fatto in massima parte per sostenere gli investimenti e non, come spesso succede oggi, per fare fronte ai debiti e alla gestione ordinaria». «Insomma -chiosa Mauro Colomboquesto periodo di crisi che stiamo vivendo deve spingere tutti a rivedere i modelli, per permettere a banche, rappresentanze delle imprese e confidi di rafforzare il dialogo per costruire accordi e dare vita a concrete forme di assistenza finanziaria, per un consapevole accesso al credito in ogni fase della vita aziendale, sia essa lo start up, lo sviluppo o la gestione corrente».
PER APPROFONDIRE
Banche e imprese nella crisi
Intervento di Luigi Federico Signorini, direttore centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia, in occasione della XLIV “Giornata del credito”
La crisi è una sfida impegnativa per banche e imprese; è anche l’occasione per ripensare al loro rapporto in una visione di lungo periodo, per adeguarlo al mutare dei tempi. In un quadro congiunturale che pesa su tutti, le banche si trovano dinanzi a fortissime pressioni operative e profondi cambiamenti regolamentari; le imprese devono fare i conti con antichi nodi strutturali tutt’altro che risolti. Il rapporto tra banche e imprese deve evolvere in modo da rafforzare la capacità competitiva delle prime e accompagnare le seconde nel percorso verso una struttura finanziaria più robusta ed equilibrata. La crescita delle imprese italiane, soprattutto delle PMI, la loro capacità di innovare e operare su mercati sempre più globali richiede anche un’azione di riequilibrio dei bilanci, ancora troppo poco patrimonializzati e orientati al debito bancario a breve termine. Ciò richiede necessariamente strutture finanziarie più diversificate e stabili, nelle quali sia più forte il contributo del capitale e più lunghe le scadenze del debito. Per contribuire alla crescita, le banche devono continuare a rafforzare la loro stabilità, la capacità di allocare le risorse in modo efficiente. Occorre che esse affinino ulteriormente la capacità di selezionare il merito di credito delle controparti, valutando prospetticamente i piani industriali, la struttura proprietaria e la qualità del management. Come ha osservato di recente il Governatore, «il primo presidio contro il rischio di peggioramento della qualità del credito è costituito da procedure di selezione della clientela efficaci, basate su criteri oggettivi, su robusti modelli di valutazione, sull’utilizzo ottimale delle informazioni disponibili per valutare le prospettive della clientela». È necessario recuperare livelli di redditività adeguati per irrobustire il patrimonio, anche con una lotta senza quartiere a tutte le fonti di costi ingiustificati e di inefficienza operativa; occorre mantenere i prestiti in linea con le risorse che si è in grado di raccogliere presso i risparmiatori. Strategie in cui la capacità di generare reddito è legata esclusivamente all’espansione dei volumi intermediati non bastano più e spesso non sono neppure praticabili. Non si tratta di stravolgere un modello ma di adeguarlo. L’attività tradizionale di prestito, che resterà centrale, deve trovare un complemento nell’offerta di una più ampia gamma di servizi coerenti con un riequilibrio della finanza d’impresa. Rafforzamento del modello di business delle banche e consolidamento finanziario delle imprese sono due facce della stessa medaglia. Banche e imprese devono saper vedere, anche in tempi bui, l’interesse comune: porre insieme le premesse perché la ripresa, quando verrà, sia robusta, stabile e sostenibile. (nella foto Luigi Federico Signorini)

