Giornata mondiale dell’Alzheimer: come comunicare con chi ne è affetto

A convivere con la malattia non è “solo” chi ne viene colpito, ma anche i suoi famigliari, che devono imparare a fare i conti, a livello pratico oltre che emotivo, con le difficoltà di assistere una persona cara, con cui interagire diventa sempre più complesso.

Interagire con una persona cara affetta da demenza è una sfida dolorosa e complessa, con cui molti si trovano a convivere quotidianamente. Ecco 5 consigli degli specialisti degli specialisti per affrontarla con più consapevolezza.

Nel mondo sono circa 50 milioni le persone affette da Alzheimer e ogni 3 secondi viene posta una nuova diagnosi di Demenza: solo in Italia, i malati sono oltre 600.000. Numeri già allarmanti che, complice il progressivo invecchiamento della popolazione, sono però destinati a triplicare entro il 2050, secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Una malattia sempre più diffusa, per affrontare la quale la sensibilizzazione resta quanto mai necessaria. A convivere con la malattia non è però “solo” chi ne viene colpito, ma anche i suoi famigliari, che devono imparare a fare i conti, a livello pratico oltre che emotivo, con le difficoltà di assistere una persona cara, con cui interagire diventa sempre più complesso.

Ecco cosa fare per comunicare con chi è affetto da Alzheimer

1. Creare le giuste condizioni

Per riuscire a comunicare efficacemente, è essenziale creare le giuste condizioni. Ad esempio, considerando che la malattia porta alla restrizione del campo visivo attentivo, prima di avviare un dialogo con una persona affetta, per non spaventarla è bene segnalare in anticipo il proprio arrivo, magari dicendo il proprio nome, facendo rumore oppure toccandolo con delicatezza. Per creare una maggiore intimità, il consiglio è porsi di fronte alla persona, all’altezza degli occhi e a poca distanza, così da favorire la lettura del labiale e della mimica facciale.

2. Una cosa alla volta

Uno dei primi segnali della malattia è proprio la difficoltà a svolgere due attività in contemporanea, anche quelle più semplici e automatizzate. Se si vuole tentare una conversazione con la persona affetta da Alzheimer, meglio evitare i momenti in cui sta svolgendo altre azioni, anche le più semplici come mangiare o bere un bicchier d’acqua. Vale anche per l’interlocutore, se mentre parla con il malato è impegnato anche in altre attività, rischia di distrarlo.

3. Accettare il bisogno di distanza

Il malato di Alzheimer sente spesso il bisogno di isolarsi, rifiutando di entrare in contatto con chiunque. È essenziale rispettare questi momenti, poiché l’interazione forzata, stressante e spiacevole lo porterà a chiudersi ancora di più. Lo stesso per l’interlocutore: se si è arrabbiati o di cattivo umore, è meglio rimandare il dialogo con il malato a un altro momento, per evitare di perdere la pazienza.

4. Non parlare del malato come se non fosse presente

In presenza del malato, bisogna assolutamente evitare di parlare di lui con altre persone, anche se si è certi che non può comprendere. Il soggetto potrebbe infatti avere un momento di lucidità o comunque cogliere il senso del discorso, dal tono o dalle parole, sentendosi di conseguenza ferito e umiliato. In generale, è sbagliatissimo trattare il malato come se fosse un bambino

5. Comunica con il cuore

Sembra banale, ma come sempre è fondamentale metterci il cuore. Cosa significa? Prima di tutto empatia: solo immedesimandosi nella condizione del malato, è possibile capire i suoi comportamenti, sentimenti ed emozioni. Poi la capacità di trasmettere la propria serenità e il proprio affetto attraverso sorrisi, atteggiamenti e gesti: è essenziale, se interagiamo con una persona che ha perso o sta perdendo la capacità di decodificare le parole.

“La Malattia di Alzheimer è la forma di Demenza più diffusa nei paesi occidentali e si caratterizza per un progressivo deficit di memoria, disturbi del comportamento e del pensiero. L’età è il più importante fattore di rischio, ma esiste un discreto numero di pazienti che sviluppano la malattia prima dei 65 anni e vengono definiti “early- onset”. I sintomi si sviluppano lentamente e peggiorano con il tempo, in modo da interferire e compromettere progressivamente lo svolgimento delle normali attività quotidiane. In assenza di una cura farmacologica in grado di far guarire i pazienti, è essenziale, per il benessere di entrambe le parti, che i parenti imparino a convivere e interagire con il malato nel miglior modo possibile”, ha commentato la dott.ssa Tiziana Tassinari, neurologa di Top Doctors®.

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