«Se a questa assemblea partecipasse qualcuno che non ha esperienza di assemblee delle banche di credito cooperativo, credo proprio che si starebbe domandando quale sia il soggetto intorno al quale oggi si è parlato e sul quale voi soci siete chiamati ad esprimersi con le votazioni. Perché definire questa solamente una banca, sia pure di credito cooperativo, evidentemente è riduttivo. Questa mattina abbiamo ascoltato con grande interesse la rappresentazione da parte di soggetti, espressioni di realtà importanti e virtuose del territorio, in termini di condivisione e apprezzamento per quello che una banca di comunità come la vostra continua a fare in momenti così complessi e difficili. E questo spiega perché i numeri del bilancio che ci sono stati rappresentati dal direttore certo non arrivano a caso. Sono numeri che confermano, innanzitutto, che si può essere solidali se si è solidi. E si è solidi se si è efficienti. E tutto questo è stato chiaramente rappresentato e si sintetizza nel solo nel risultato di esercizio della vostra banca, ma in tutta una serie di altri fattori che abbiamo potuto ascoltare».
Così ha esordito nel suo discorso ai soci l’ospite d’onore all’assemblea della nostra Bcc: Alessandro Azzi, presidente della Federazione lombarda delle banche di Credito Cooperativo, incarico in cui è stato eletto per la prima volta nel 1991, e che in questi 30 anni è stato un punto di riferimento per il percorso che ha compiuto il nostro movimento della cooperazione del credito. Per lunghi anni presidente della Bcc del Garda e di Federcasse, dallo scorso anno, inoltre, Alessandro Azzi è il presidente della commissione regionale ABI della Lombardia, e questa è la prima volta nella storia lombarda che un esponente del Credito Cooperativo è stato chiamato a ricoprire questo incarico nell’ambito dell’associazione bancaria italiana.
Azzi ha poi ripreso il discorso del nostro presidente sul 140° dalla fondazione della prima cassa rurale in Italia, per sottolineare che «noi del credito cooperativo siamo particolarmente affezionati agli anniversari, perché siamo consapevoli e anche orgogliosi della nostra storia» e ricordare che «quest’anno è anche l’anniversario della fondazione che da tanti anni io rappresento: il sessantesimo dalla fondazione della Federazione lombarda delle Bcc. Anniversario che celebreremo il 16 giugno a Treviglio, là dove la Federazione lombarda venne costituita. La nostra è una lunga storia che parte dalla fine dell’Ottocento e si è sviluppata nel Novecento e, oggi, nel terzo millennio, si presenta ancora in termini di modernità. Non è stata una storia facile quella dei nostri predecessori, i pionieri che hanno fondato le casse rurali e quelli che di generazione in generazione le hanno portate avanti. Ed è una storia che è sempre stata accompagnata da profezie di sventura, perché i rappresentanti del mainstream, cioè del pensiero dominante che c’è stato, c’è adesso e c’era anche alla fine dell’Ottocento, erano convinti che un’esperienza di questo genere non avrebbe potuto proseguire. Alla fine dell’Ottocento chiamavano le casse rurali un “assurdo economico”, perché dicevano che non sarebbe stato possibile riuscire a rendere compatibile la gestione del denaro con i valori etici e morali. Il perché è presto detto: la gestione del denaro è cosa di per sé è molto concreta e prosaica, o così dovrebbe essere, specie oggi che parliamo di denaro in termini non marginali ma di cifre estremamente rilevanti, e allora si riteneva che l’attività bancaria comportasse solo l’esigenza di applicare interessi e non certamente conciliarla con la solidarietà».
«Queste profezie di sventura si sono sempre rivelate sbagliate, ma in fondo ci hanno fatto bene, perché sono state beneauguranti. Quindi continuino pure ad esserci se nel frattempo assistiamo al crescente sviluppo e alla costante crescita del credito cooperativo -ha ironizzato Alessandro Azzi-. Le profezie di sventura ci sono state alla fine dell’Ottocento, ci sono state nel 1993 col testo unico bancario, e anche in tempi più recenti, nel 2015, con la riforma, poi diventata l’autoriforma del credito cooperativo. C’era tutta una componente di pensiero che era convinta che la nostra realtà di credito cooperativo non avrebbe avuto prospettive. Che di fronte alla concorrenza del mercato, alle crisi che venivano dal credit crunch di quegli anni saremmo scomparsi. E che, quindi, occorreva intervenire a soccorso. Magari nell’interesse di qualcun altro, che si sarebbe preso su un piatto d’argento quello che gli veniva offerto».
Ma così non è stato, il credito cooperativo continua a prosperare e il gruppo di cui la nostra Bcc è parte, Iccrea, è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano, il secondo per numero di sportelli e il quarto gruppo bancario in Italia per attivo. «Così come lo è stato in termini eccellenti per la vostra Bcc, il 2023 è stato un anno buono per tutta la categoria, per tutte le banche, in relazione all’aumento dei tassi e del margine di interesse -ha ripreso Azzi-. E anche il 2024 sta più o meno procedendo allo stesso modo. Ecco, allora, che occorre fare una considerazione di come questo si concilii con i tempi difficili che la società e l’Italia stanno attraversando. Li chiamano tempi di transizione, epoca di cambiamenti, oppure, come dice il Pontefice, c’è un cambiamento d’epoca? Di fatto siamo tra pandemie, guerre, globalizzazione, un debito pubblico colossale, una sanità in gravi condizioni, una previdenza pensionistica a rischio, un dramma demografico. Un tempo lo si chiamava inverno demografico, quello della denatalità, ma adesso qualcuno lo chiama glaciazione, perché di solito dopo l’inverno viene la primavera, ma dato che qui è difficile immaginare una primavera sul fronte demografico, si parla di glaciazione. La cosa fa davvero venire i brividi. Non ho pretese sociologiche, ma credo che gli effetti di tutte queste cose si manifestino in un deterioramento dell’idea di futuro, che colpisce ancora di più le giovani generazioni. E i problemi dei giovani e degli adolescenti al giorno d’oggi li sappiamo bene, li leggiamo e qualcuno li vive anche personalmente».
«È probabilmente la prima volta che il deterioramento dell’idea del futuro colpisce la nostra società: in sostanza si è indotti a pensare che il futuro delle prossime generazioni sarà più difficile del presente che noi viviamo, mentre, fino a oggi, tutti noi eravamo sempre stati abituati a pensare che le prossime generazioni sarebbero vissute meglio di noi. E questo fatto ci tocca e ci deve responsabilizzare, perché c’è l’impellente necessità di un recupero della fiducia. Non è certo cosa facile, ma il recupero della fiducia può passare attraverso il coinvolgimento, la partecipazione, la condivisione, per cercare di ricostruire una modalità di approccio positivo verso la vita nelle sue diverse dimensioni sociali».
Tornando alle banche, Azzi ha ricordato che dieci anni fa un terzo dell’industria bancaria italiana era in capo a banche cooperative. «La fetta più grande di questa percentuale, su per giù il 35% di tutte le banche italiane, era in capo alle banche popolari -ha detto-. Di fatto, in conseguenza o a seguito della riforma del governo di quell’epoca, le banche popolari sono pressoché scomparse. La quasi totalità degli attivi delle banche popolari, che erano anche loro banche cooperative, furono infatti resi “contendibili”, come si usava a dire, e di fatto le popolari sono state acquisite da altri soggetti bancari, molto spesso stranieri». Giova sicuramente ai nostri lettori ricordare che la riforma voluta ai tempi dal governo Renzi ha costretto gli istituti con attivi superiori a 8 miliardi di euro ad abbandonare la forma cooperativa, dove ogni socio dispone di un solo voto, per diventare una società per azioni, dove prevale la volontà dei grandi investitori, e che l’ultimo grande istituto di natura mutualistica, la banca popolare di Sondrio, è scomparso, trasformandosi in società per azioni, nel dicembre 2021. «Anche per il credito cooperativo l’intervento governativo aveva inizialmente le stesse caratteristiche di quello che si è abbattuto sulle banche popolari. Ma non ha avuto lo stesso effetto: perché? La risposta -ha ripreso Alessandro Azzi-. viene proprio da assemblee come la vostra. La risposta è perché da noi i valori che venivano professati erano effettivamente praticati e stamattina ne avete dato la dimostrazione. Altrove il discorso era diventato diverso: i soggetti delle banche popolari erano diventati sempre più grandi, si erano allontanati dai territori, si erano quotati in borsa, facevano bene il loro dovere come banche tradizionali, ma forse non era più giustificata la forma cooperativa. E quel governo disse che dovevano essere rese contendibili e quindi le hanno costrette a trasformarsi in società per azioni. E alla fine sono state così contendibili che se le sono prese altri: questo è il mercato. Noi, invece, abbiamo fatto una autoriforma, e siamo venuti a patti con quel governo e con la Banca d’Italia. Di fatto oggi le Bcc sono indubbiamente un po’ meno autonome di prima, perché devono aderire ad una capogruppo di un gruppo bancario cooperativo, il cui vertice ha la direzione e il coordinamento sulle banche di credito cooperativo ma che, nello stesso tempo, conferisce loro solidità, stabilità e consente alle Bcc di fare economie di scala. E allora, ancora una volta, abbiamo smentito i profeti di sventura che c’erano anche nel 2015 e dicevano che la forma cooperativa bancaria non aveva prospettive».
«Abbiamo invece mantenuto la nostra identità e oggi abbiamo 4mila agenzie su tutto il territorio nazionale. Di queste 800 sono in Lombardia e spesso teniamo aperti gli sportelli anche là dove non c’è proprio estrema convenienza dal punto di vista della sola redditività bancaria. Perché? Perché una banca tradizionale un’agenzia la tiene aperta solo se è redditizia, mentre noi guardiamo prima di tutto al servizio che la comunità ci richiede. Questa è una grande differenza tra il credito cooperativo e il sistema bancario tradizionale -ha detto Azzi-. Di più: il 2023 è stato un anno che ha consentito a tutte le banche di fare grandi utili. Ma gli utili delle banche di credito cooperativo vanno a patrimonio, e quindi sono di proprietà della comunità perché rafforzano la stabilità della banca della comunità, gli utili delle altre banche, delle banche tradizionali, invece, per più del 50% vanno all’estero, perché le partecipazioni nelle banche tradizionali sono di proprietà dei fondi stranieri. Ma non lo sente dire con la dovuta attenzione, perché la grande stampa non è particolarmente sensibile a questo tema. Certo non c’è nulla di male nel fatto che gli utili vadano dove li dirigono le regole del mercato libero, ma solo fino a quando le cose continuano ad andare bene. Perché se il vento girasse, chi vede l’investimento nella banca solo come fonte di profitto farà ovviamente solo ragionamenti “di mercato”. Chi, invece, come noi, nel contesto sociale ed economico c’è, perché di quel contesto è espressione e di quel territorio è al servizio, farà altri ragionamenti, come è capitato negli anni successivi al credit crunch. E senza dilungarmi oltre, vi ricordo solo che più del 20% dei prestiti, degli impieghi utilizzati da certi settori economici, tanto in Lombardia come nel resto d’Italia, è dato dalle banche di credito cooperativo. Quindi su questi settori tipici dell’economia italiana noi siamo protagonisti, siamo leader tutti insieme. Il nostro impegno è perciò quello di continuare a praticare la nostra originalità, che ha un chiaro nome: “democrazia economica”. Che vuol dire che i proprietari della banca siete voi, come lo sono i soci in tutte le altre Bcc. Siete voi che vi riunite una volta all’anno per verificare come è andata la banca, per sentire come sono stati coinvolti gli altri soggetti del territorio e se si sentono partecipi».
«E c’è un’altra cosa che è opportuno considerare: la vostra non è solo una banca. È anche un soggetto creatore di reti. Io lo chiamo agente di sviluppo locale, cioè un soggetto che ha dentro di sé l’impegno a aiutare la crescita del territorio, aiutare le persone, cercare di dare risposte a quello che il pubblico riuscirà sempre meno a dare, perché i conti pubblici li conosciamo. Ed ecco, allora, la logica delle nostre associazioni mutualistiche, del grande impegno della Federazione lombarda e delle altre federazioni locali sul fronte sociale, sanitario, culturale, artistico, educativo e sportivo. Perché noi, per storia, vocazione e credo, siamo chiamati a dare risposte alle nuove necessità delle nostre comunità».
«Nei nostri contesti lombardi ci sono tanti i soggetti del volontariato, del no profit, del terzo settore. Associazioni meritorie e importantissime, che però in molti casi sono carenti di esperienza, perché nate da iniziative spontanee, talvolta anche non particolarmente strutturate. E qual è, allora, il soggetto che nella comunità, senza fine di profitto privato, si esprime da oltre 100 anni con consapevolezza e professionalità? Qual è il soggetto che ha saputo meritarsi la fiducia della gente, di generazione in generazione, e ha la professionalità da mettere a disposizione per aiutare queste realtà a crescere e proliferare? È la banca di credito cooperativo, ovvio! Quindi il nostro impegno è di non fare solo banca ma, in forma strutturata, di metterci al servizio per passare agli del terzo settore e del volontariato l’esperienza maturate in tanti anni -ha concluso il presidente della Federazione lombarda-. L’esperienza del credito cooperativo nasce oltre cent’anni fa da un’enciclica, la “Rerum novarum” di Leone XIII, che spronava i cattolici a darsi da fare, a non aspettare da altri o dall’alto quello che non sarebbe arrivato o che, se fosse arrivato, sarebbe costato troppo caro. Penso ovviamente al tema dell’usura, che allora dilagava nelle nostre campagne. Dopo cent’anni un’altra enciclica fa riferimento ai nostri valori: è la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, che espressamente parla di un’esperienza bancaria precisa: le banche di credito cooperativo. E dice che le banche di credito cooperativo sono testimonianze di amore intelligente. E questa è la nostra sfida: confermare l’ispirazione originaria, adeguare e modernizzare gli strumenti e avere motivato coraggio e vera fiducia verso il futuro».
AI NUOVI SOCI UNDER 35 NON VERRÀ RICHIESTO DI VERSARE IL SOVRAPPREZZO DELLE AZIONI
Su proposta del consiglio di amministrazione uscente, l’assemblea dei soci ha deciso di non richiedere agli under 35 la corresponsione del sovrapprezzo delle azioni (confermato in 313,73 euro) che deve essere versato in aggiunta al valore nominale (che è di 25,82 euro) di ogni azione che deve essere sottoscritta da chi chiede di diventare socio della Banca di Credito Cooperativo di Busto Garolfo e Buguggiate.
E questo, è stato spiegato in assemblea e condiviso all’unanimità dai soci, per favorire con azioni concrete una più ampia partecipazione dei giovani tra i 18 e i 35 anni e avviare il ricambio generazionale della compagine sociale.
Perciò, fino al 31 dicembre dell’anno in cui compieranno i 35 anni, ai giovani che decideranno di diventare soci della nostra banca non verrà richiesta la sottoscrizione del sovrapprezzo. La decisione resterà valida fino alla prossima assemblea, dal momento che per statuto la tematica del sovrapprezzo delle azioni deve essere discussa annualmente dai soci.