“Tutto ciò che di nuovo c’è stato nel periodo di maggiore crescita economica senza precedenti dell’Occidente, durata circa un secolo, veniva dalle persone, dalla gente comune che lavorava in una molteplicità di aziende, dalle scoperte, dalla creatività che dava vita a nuovi metodi e nuovi prodotti” – ha spiegato il premio Nobel Edmund Phelps in una lectio magistrali da ricordare al Festival dell’Economia di Trento. “In questo lungo percorso, i tre effetti principali furono: individualismo, vitalismo e dinamismo, sviluppatisi in successione. Con individualismo – che non è l’egoismo – intendo tutta quella deriva rinascimentale in cui gli uomini si scoprirono creativi, pensatori, rifiutarono le convenzioni e svilupparono l’indipendenza economica; per vitalismo intendo ciò che fu proprio della prima modernità, quindi un lavoro interiore sul sé e sulla propria evoluzione personale; infine per dinamismo intendo l’espressione di questo sé in un’imprenditorialità nuova e innovativa”.
È una teoria che mette al centro l’uomo e la sua creatività, quella di Phelps, per descrivere la crescita dei Paesi. Una teoria che ha incantato il giovane pubblico accorso ad ascoltarlo al Festival dell’Economia di Trento, nel suo rovesciare valori classici, in favore piuttosto del dinamismo e dell’espressione individuale. “I governi dovrebbero tenere conto di tutto questo per far fronte al rallentamento della crescita economica che stiamo vivendo: dovrebbero eliminare certe regolamentazioni invadenti, favorire gli innovatori. Allo stesso modo, le aziende dovrebbero lavorare in favore dell’eliminazione delle gerarchie, che non favoriscono il flusso di idee, e gli economisti cominciare a tenere conto anche di tutti quei valori economici che però non hanno un “peso” commerciale”.
Il dinamismo, valore centrale per Phelps anche nell’economia contemporanea, è ciò che può contrastare in maniera effettiva e reale la stagnazione economica, il rallentamento dei salari e conseguenze da essi derivate come le tensioni sociali. “Dobbiamo tornare a coltivare i valori moderni positivi. Dobbiamo pensare il lavoro come elemento in grado di creare stima di sé e da parte della società, di creare benessere non in senso economico ma inteso come possibilità dell’avere una vita piena e ricca, fiorente” – ha concluso. “E gli economisti devono cominciare a tenere conto anche di questi elementi non pecuniari: le sfide, i successi, il pieno godimento della vita lavorativa individuale”.