“La lunga e nobile storia della cooperazione nel credito è nota e farei torto a chi ascolta se mi trattenessi nel ricordare nomi e opere dei pionieri di questo modello economico, spiega il rettore dell’Università Cattolica Savro Cuore durante la sua ultima lectio magistralis tenuta sull’argomento, “armonizzare non è omologare”.
“Una sola figura avverto il bisogno di menzionare, in segno di tributo a chi per primo e con più energia e convinzione coltivò l’idea di un Ateneo dei Cattolici italiani, Giuseppe Toniolo, il quale negli stessi anni si spendeva per la crescita di un movimento cooperativo concepito come espressione di un’Italia cattolica che cercava, in quegli anni, di uscire dal bozzolo dell’astensione.
In particolare rammento l’approccio di Toniolo al cruciale problema della capitalizzazione delle strutture di credito cooperativo, costrette a trovare il modo di alimentarsi da sé, non potendo attingere a ricchezze già accumulate, che risultano inaccessibili, sia per la lontananza dei ceti detentori di ricchezza al movimento cooperativo, sia per la struttura giuridica della società cooperativa, inadatta a raccogliere capitale di rischio.
Nel discorso di chiusura del Congresso internazionale delle Casse Rurali e Operaie di Parigi del 1900, dal titolo L’avvenire della cooperazione cristiana, Toniolo osservava:
“la grande funzione che apparterrà nell’avvenire alla riserva e al capitale sociale nelle casse rurali è stata intuita sicuramente da Raiffeisen e da tutti i suoi discepoli. Trattasi di emancipare la classe intera dei meno favoriti economicamente dalla pressione dei capitalisti e dalle fluttuazioni della borsa mercè un capitale collettivo di spettanza della classe, il quale circoli di continuo fra le mani attive e parsimoniose dei cooperatori, cosicché il tenuo interesse che esce dalla borsa del sovvenuto rientri tosto nella cassa dei consociati ad incrementare il patrimonio comune; la piccola sottrazione ai lucri privati del singolo trovando così il suo compenso nell’aumento del capitale comune, cioè dei fondi riservati costantemente a sussidio e progresso della classe intera”.
Friedrich Wilhelm Raiffeisen, chiamato in causa da Toniolo, usa invece un linguaggio più diretto quando affronta il problema della patrimonializzazione degli enti cooperativi e cerca e una soluzione in tempi più rapidi di quelli richiesti dal parsimonioso processo di accantonamento descritto da Toniolo, in Le Associazioni Casse di Prestito, del 1866 (ried. Ecra, Roma, 2005), osserva:
“Non c’è bisogno di spiegazioni per capire che tale piccola associazione, che si regge autonomamente, è troppo debole per contrapporsi all’enorme e ben organizzato potere del capitale usuraio e godere così dei frutti del proprio lavoro”.
Da questa constatazione mosse il progetto di una struttura plurilivello, con banche di secondo grado, partecipate dalle associazioni, e di terzo grado.
Tuttavia quell’iniziale modello, fondato su un’aggregazione stratificata di enti tutti cooperativi, cementata dalla condivisione di una responsabilità patrimoniale solidale, apparve inidonea a fornire adeguate garanzie ai terzi creditori, mentre esponeva i singoli soci cooperatori a rischi non calcolabili, in quanto riferibili anche alle banche di secondo e terzo livello1; queste debolezze presto condussero alla trasformazione delle banche di secondo livello in società azionarie, mentre veniva costituita una federazione tra le Associazioni, con il compito di rappresentarne gli interessi ma anche di esercitare la vigilanza sulle associate.
L’aggregazione, irrobustita dalla creazione di strutture “centrali” idonee ad imprimere unità di azione al gruppo, si è così rivelata condizione di sopravvivenza dei sistemi di cooperazione creditizia, insieme alla “collettivizzazione” del rischio mediante la condivisione della responsabilità patrimoniale. Due elementi che ancora si ritrovano alla radice dell’assetto attuale”.