Lavorare nel carcere e con il carcere è possibile. Lo dimostrano le diverse esperienze positive di imprese e cooperative che, soprattutto negli ultimi anni, hanno avviato attività produttive all’interno degli istituti di pena lombardi. Unioncamere Lombardia ha pubblicato un vademecum, che si rivolge sia a operatori del mondo profit sia alle cooperative, vuole essere uno strumento pratico e agile per orientare coloro che volessero assumere persone in esecuzione penale. L’obiettivo è illustrare quali sono gli sgravi fiscali e contributivi previsti dalle normative in vi- gore per assumere persone in esecuzione penale, ma anche spiegare quali sono i benefici d’immagine per l’impresa.
I benefici per le aziende non si limitano solo agli sgravi fiscali e contributivi messi a disposizione dalla legge. Offrire a cittadini in esecuzione penale un lavoro rende l’impresa “socialmente responsabile”, in quanto supporta concretamente una fascia svantaggiata di persone, contribuendo anche ad aumentare la sicurezza dell’intera comunità locale.
Per i detenuti avere un lavoro nel periodo di esecuzione penale significa sentirsi meno emarginati, ma soprattutto avere una prospettiva di reinserimento sociale, che può ripartire proprio dal lavoro e dalle competenze professionali maturate. L’impresa che fornisce lavoro a cittadini detenuti vedrà sicuramente migliorata la propria immagine e otterrà consenso, appoggio e riconoscimento sociale maggiori da parte della comunità locale.
I benefici per chi assume un detenuto:
- la riduzione dell’80% degli oneri contributivi per il datore di lavoro relativamente alla retribuzione di detenuti e internati assunti a tempo determinato purché per un periodo non inferiore a trenta giorni. Le age- volazioni proseguono per ulteriori sei mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione, se in quel periodo il lavoratore conserva l’assunzione
- un credito d’imposta di 516,46 euro mensili proporzionalmente ridotto in base alle ore prestate per ogni lavoratore assunto per un periodo non inferiore ai trenta giorni. Il credito d’imposta spetta anche per i sei mesi successivi alla cessazione dello stato di detenzione, se in quel periodo il lavoratore conserva l’assunzione.
Lo sgravio è ancora più consistente per le cooperative che assumono detenuti in articolo 21. Per esempio, assumendo come riferimento il Ccnl del- la cooperazione sociale, il costo orario per l’assunzione di un centralinista (livello A2) passa da 10,81 euro a 6,68 euro; per un operaio non qualificato (livello B1) da 12,51 a 7,18 euro. Infine, per assumere un operaio qualificato (livello C1) si passa da 13,48 euro all’ora a 8,03 euro all’ora.
Il credito d’imposta spetta anche per i sei mesi successivi alla scarcerazione se, in tale periodo, il lavoratore conserva l’assunzione. Per i lavoratori as- sunti a tempo parziale il credito d’imposta spetta in misura proporzionale alle ore prestate.
Qui il vademecum completo: http://www.unioncamerelombardia.it/images/File/APOL-CSR/Anno%202011/Vademecum%20Impresa%20Sprigiona%20Lavoro.pdf
Perché lavorare con le persone detenute
Le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”. La Costituzione (articolo 27) indica chiaramente quale debba essere il risultato da raggiun- gere al termine di una condanna penale: il reinserimento della persona che esce dal carcere quando ha finito di scontare la sua pena. Perché il cittadino che torna alla vita libera al termine di una condanna e che riesce a ritrovare il proprio posto nella società più difficilmente commetterà nuovi reati, abbassando così i tassi di recidiva. E questo è tanto più vero nei casi in cui i percorsi di reinserimento sociale (attraverso corsi di formazione, attività lavorative e culturali) vengono avviati durante gli anni trascorsi in carcere. Ma in che modo e con quali strumenti si può ottenere il reinserimento sociale? La legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (numero 354, del 26 luglio 1975) ha reso effettivo il dettato costituzionale dell’articolo 27 indicando gli strumenti utili ad avviare, già durante gli anni della condanna, il precorso di reinserimento sociale del detenuto: l’istruzione, la religione, le attività culturali, ricreative e sportive, i rapporti con la famiglia e con il mondo esterno e il lavoro.
Proprio il lavoro si è dimostrato il mezzo più efficace per abbassare i tassi di recidiva: chi esce dal carcere con la possibilità di avviare o continuare un percorso lavorativo ha basi più solide su cui realizzare percorsi di sviluppo individuale e di reinserimento. In questo modo chi ha sbagliato ha la possi- bilità di ripartire grazie all’apporto complessivo della comunità sociale.
Tuttavia oggi sono poche le persone in esecuzione penale che possono go- dere di questa possibilità: su un totale di 68mila detenuti presenti nelle carceri italiane (dati aggiornati al 30 giugno 2010, ndr) solo 2.058 sono stati assunti da imprese e cooperative, 598 solo in Lombardia.
Anche se lavorare in carcere non è semplice, è possibile avviare un’attività produttiva trovando, all’interno dell’Istituto penitenziario, il punto di equilibrio tra le esigenze di sicurezza e i ritmi di una attività produttiva che deve fare i conti con fornitori, clienti, scadenze.
È possibile, quindi, rafforzare i timidi risultati finora ottenuti attribuibili a diversi elementi fra i quali, in particolare, la poca conoscenza del mondo imprenditoriale (sicuramente abbattuta nell’ambito cooperativistico) delle opportunità offerte dal lavoro penitenziario dentro e fuori dal carcere, cui si aggiunge l’alto valore etico che ciò rappresenta in termini di responsabilità sociale d’impresa.
Le varie esperienze attive all’interno degli istituti di pena lombardi dimostrano che, malgrado le difficoltà, il connubio carcere-impresa non solo è possibile, ma può essere virtuoso.