In tre anni hanno sventolato bandiera bianca la Zucchi di Rescaldina, la Manifattura di Legnano, l’Electrolux di Parabiago, la Irge di Turbigo, la Centenari e Zinelli di Cuggiono, la Crespi di San Lorenzo. Storiche aziende che hanno chiuso i battenti senza possibilità di replica. «Crisi del settore », si diceva ogni volta che una società abbassava le serrande e i dipendenti restavano con un pugno di sabbia in mano. Drammatiche situazioni economiche, certo, ma che, di fondo, avevano quella “crisi” del mercato che, onestamente, era – ed è – sotto gli occhi di tutti. C’è un’ulteriore crisi che sta investendo l’Altomilanese: quella del mercato del lavoro. Se, da una parte, vi sono situazioni dettate da fattori imprescindibili (se non ci sono ordinazioni non si può certo inventarle), dall’altra si stanno delineando nuove filosofie imprenditoriali dettate dall’apertura a est dell’UE. Il costo del lavoro (la manodopera) sta diventando la corrente che spinge le aziende ad abbandonare l’Altomilanese. La situazione della “Abb Trasformatori” di Legnano rende l’idea. Una crisi senza crisi. Una società che, per decisioni dei “piani alti”, rischia di lasciare per strada 260 dipendenti. Le commesse dell’azienda, pubbliche e private, sono abbondanti. La società opera, lavora e scambia. Eppure i dirigenti svizzeri hanno deciso: Legnano deve essere chiusa. La Abb non sarà l’unica realtà economica che prenderà questa decisione. Al momento in cui andiamo in stampa non sappiamo come e se finirà la vertenza che – pare giusto ricordarlo – è stata aperta grazie alle pressioni del Comune di Legnano e della Provincia di Milano. In questa vicenda quello che appare chiaro è che c’è da intervenire, e subito. Se, da una parte le crisi economiche dettate dalle “commesse” non possono essere ricucite con semplicità, dall’altra il mercato del lavoro è un indice che può (soprattutto deve) essere rivisto. Ne va della sopravvivenza dell’Altomilanese. E non solo.