Chi è capace di creare lavoro, oggi, in Italia? Non è una sorpresa la risposta che 2.000 italiani hanno dato a un sondaggio SWG pubblicato il 7 novembre. Il 51% degli intervistati, se dovesse cercare un’occupazione, punterebbe sulle piccole e medie aziende; le grandi imprese e le multinazionali –lo si vede nel grafico pubblicato in queste pagine- seguono distanziate di 9 punti, mentre la fiducia negli enti pubblici si ferma a un misero 17%. Nonostante la crisi, nonostante le notizie di chiusure e fallimenti che troppo spesso si susseguono sulle pagine dei giornali, la percezione degli italiani è che le piccole e medie imprese siano ancora oggi realtà dinamiche, produttive, fra le poche in grado di creare e garantire posti di lavoro. Quanto c’è di vero in questa vulgata? La Cgia di Mestre conferma ciò che gli italiani pensano. Nella sua ultima indagine sul tema, pubblicata alla fine del 2013 e basata sui Censimenti dell’Industria e dei Servizi dal 2001 al 2011, ha rivelato che in dieci anni le Pmi hanno dato lavoro a 457mila nuovi addetti; le grandi, per contro, hanno creato 212mila posti di lavoro, meno della metà. Interessante anche andare a scorporare il dato nascosto dietro la definizione di “piccola media impresa”, che in realtà raccoglie aziende dai numeri difficilmente comparabili fra loro: si scopre che le medie (50-249 dipendenti) hanno prodotto solo 41mila posti di lavoro di quei 457mila, mentre la volata è stata tirata dai più piccoli. Queste realtà con meno di 50 addetti occupano oltre 11 milioni di persone e costituiscono il 99,5% delle imprese italiane. «Stiamo parlando di aziende artigiane-commerciali –ha commentato il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi–, di piccole imprese e di attività guidate da liberi professionisti che non chiedono aiuti o prebende, ma una pressione fiscale e un peso della burocrazia in linea con la media europea e la possibilità di accedere con maggiore facilità al credito». Se teniamo conto che dalle statistiche emerge inoltre che sono le piccole realtà produttive a creare la maggior parte dei posti di lavoro anche nelle aree più svantaggiate del Paese, diventa chiaro che sostenere la Pmi, in questo momento, voglia dire aiutare l’Italia ad aumentare l’occupazione e a uscire dalla crisi. Fisco e burocrazia, però, non sono i soli problemi di queste aziende. Ce n’è un altro, un po’ paradossale se si considera, appunto, che le piccole aziende offrono posti di lavoro: il fatto è che, quei posti, faticano a trovare qualcuno che li riempia. «Ci sono problemi d’incontro tra domanda e offerta» conferma Gianluigi Casati, presidente della Piccola Industra di Univa – Unione Industriali della Provincia di Varese. «Le piccole imprese sono alla ricerca di manodopera molto qualificata, di figure intermedie fra quelle dell’operaio e quelle del tecnico, persone con competenze operative ma capaci di interfacciarsi a più livelli con le varie funzioni aziendali. Spesso facciamo fatica a trovarle». Gianluigi Casati indica nel distacco tra mondo della scuola e mondo del lavoro uno degli elementi più critici, «ed è proprio quando c’è la volontà di superare questo distacco –prosegue– che si ottengono i risultati migliori. Come imprenditore, posso confermare che le ultime figure di quadri che abbiamo inserito in azienda negli ultimi anni sono arrivate dopo aver attivato collaborazioni con gli istituti superiori, grazie ai quali sono entrati in contatto con noi giovani volenterosi, che hanno imparato a conoscerci, hanno fatto uno stage e sono entrati in azienda». Percorsi di questo genere non sono una rarità nel settore, ed è anche per questo che ormai da cinque anni Confindustria organizza il “Pmi Day”, un’iniziativa che porta ragazzi e famiglie a contatto con le aziende per migliorare la conoscenza reciproca. L’ultima edizione è stata il 14 novembre. «È un progetto voluto da Roma e subito recepito nei nostri territori –spiega sempre Gianluigi Casati– e quest’anno la partecipazione ha superato le aspettative. L’obiettivo primario è diffondere la conoscenza del mondo della Pmi, andando al di là degli stereotipi che a volte circolano sulle nostre aziende. Grazie al Pmi Day giovani e genitori imparano a conoscere realtà rispettose dell’ambiente, con spazi di lavoro moderni, luoghi di innovazione dove si sviluppano prodotti in linea con le esigenze del mercato di oggi. Del resto, una delle caratteristiche della Pmi italiana è proprio la voglia di svilupparsi e innovare». Una dinamicità che è confermata anche dall’osservatorio privilegiato sulle imprese del territorio costituito dalla nostra Bcc: «Erogare credito alla Pmi significa sostenere la crescita e l’innovazione e, di conseguenza, l’occupazione –afferma il presidente Roberto Scazzosi–. Il ruolo sociale e il valore economico delle piccole e medie imprese sono elementi da sempre riconosciuti dal Credito Cooperativo, che da anni su una parola molto importante pronunciata da Gianluigi Casati: conoscenza. La conoscenza reciproca tra Banca e azienda, che anche di dimensioni contenute, andando oltre i numeri e gli automatismi porta a una reale trasparenza e alla costruzione di fiducia. È questo che ci permette di instaurare un rapporto che poi porta i suoi effetti positivi su tutto il territorio».
Le Pmi sono indicate dall’opinione pubblica come i soggetti più capaci di portare occupazione, una percezione suffragata dai numeri. «Ma offerta e domanda spesso faticano a incontrarsi per la scarsa conoscenza reciproca» spiega Gianluigi Casati di Univa