Il nostro raduno di auto d’epoca ha incantato tutta la città

Auto d’epoca, auto che hanno fatto epoca; e se, da etimo, “epoca” è sospensione, fermata, qui indica – e ci mancherebbe – dinamismo; da una parte l’alfa e l’omega che racchiudono la parabola della quattro ruote, il suo tempo delimitato dalla date di inizio e fine produzione; dall’altra il superamento della dimensione temporale e l’ingresso nella leggenda. Leggenda a quattro ruote, di cui ognuno può essere l’aedo, alla cui saga ognuno può aggiungere qualche verso, perché queste auto sono memoria collettiva, patrimonio comune; non necessariamente macchina posseduta, ma macchina vista sfilare, magari da incolmabili distanze, e più grande da lontano è la riverenza. Riverenza che spetta ai pluridecorati, ai canuti, a chi ha attraversato tempi, oltre che spazi, per giungere alla mostra in cui abbiamo fatto la loro conoscenza o in cui le abbiamo riviste, dove hanno parcheggiato per incuriosire, muovere ammirazione, dare magari una sterzata al gusto automobilistico di chi non ha memoria né può averla perché troppo giovane. Anche queste sono radici, sebbene non piantate in terra ma sempre pronte a ripartire dopo una sosta o un parcheggio. Il chi eravamo del volante è domanda cui queste auto sono più titolate a rispondere. Pietre miliari dell’evoluzione che ha portato ai modelli che teniamo in garage e che avviamo ogni mattina, queste auto sono anche macchine del tempo, motori di ricordi e di passioni, sia di un vissuto personale che collettivo, se catturate in un’istantanea della storia del Paese, magari dentro un film o in una canzone. Oggetti di raffinato collezionismo, da non tenere in teche, da fare anzi a pugni col sottovuoto; la loro conservazione passa attraverso l’uso distillato che se ne può e deve fare ancora. Non fossili dunque, anzi, auto del dì di festa, che non ci portano in giro, ma che noi portiamo a passeggio, preferibilmente nelle giornate di bel tempo. Quasi che la direzione del rapporto si sia ribaltata: non più loro al servizio del proprietario ma il contrario. Conquista cui, solo dopo anni di onorato servizio, si può aspirare, meritato riposo di guerrieri che per la grande occasione si lucidano medaglie e stellette. Certo, anche qui, sfilano in parata soldati semplici e generali, ma le gerarchie, pur presenti, si stemperano, la lotta di classe fra utilitarie e top car si smussa, è passata ad altre generazioni che battagliano a colpi di clacson e sorpassi nel traffico quotidiano. Qui sembrano tenersi la mano, le vecchie auto; le strizzate di fanali tra l’ammiraglia del cumenda e la prima quattroruote che è riuscita a permettersi la famiglia operaia sono più frequenti di quanto si immagini. La pacificazione arriva nel nome di una battaglia comune da combattere contro il tempo, contro la “livella” che non opera distinzioni di sorta, fra i cavalli motore come fra gli umani. Mania di inguaribili nostalgici? Forse, ma di certo con l’appoggio, la comprensione, diciamo pure l’ammirazione di tanti di noi. I collezionisti di auto, le vestali della memoria a quattro ruote non hanno tirato il freno a mano per scongiurare l’eresia della modernità, l’evoluzione tecnologica dell’auto, affare connaturato, ineludibile del prodotto macchina; tengono vivo, con questa brace, il fuoco che brucia le umane cose, il progresso, e che tanto crepita per i veicoli. Sono forse i più illuminati, fra i tanti collezionisti d’arte, accostando opere d’autore (quelle delle griffe ingegneristiche e dei designer) a oggetti di vita quotidiana, perché il loro mondo, la strada, è di tutti. E non è detto che ci si soffermi di più davanti a un modello che ha sbancato la Mille miglia piuttosto che a uno visto sulla foto in bianco e nero con mamma e papà tanto più giovani in posa durante una sosta in una gita fuori porta. Svolte impreviste delle strade della memoria, contromano al senso di marcia del tempo; manovre a loro e solo a loro consentite però, che nessun vigile sanzionerà mai con una multa. Paletta verde, circolare.

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