Il dottor Marco Galliano, primario del reparto di oncologia ha presentato i recenti sviluppi nel campo della prevenzione, con un intervento dal titolo “Novità nella prevenzione primaria e terziaria del tumore al seno”, durante la serata conclusiva dell’Ottobre in rosa, organizzato dalla Bcc di Busto Garolfo e Buguggiate, tramite il suo braccio operativo, che gestisce anche la mutua di comunità, Ccr Insime Ets.
Pubblichiamo il suo intervento integrale
“L’andamento del tumore al seno in Lombardia è piuttosto impegnativo. Abbiamo quello che si chiama tasso grezzo di incidenza che è superiore a molte altre regioni in Italia. Nel Nord Italia si va tra 140 e 160 nuovi casi per 100.000 abitanti all’anno, in Lombardia sono 188, i casi, e questi sono dati del 2019, l’ultima volta che alcuni registri hanno prodotto dei dati, perché i registri non producono dati tutti gli anni.
L’anno scorso purtroppo noi abbiamo diagnosticato 55.900 tumori della mammella in tutta l’Italia. Si tratta del primo tumore in assoluto come diagnosi, come frequenza. Le noplasie al seno rappresentano il 30% di tutti i tumori delle donne, sono anche la prima causa di morte nelle donne. Abbiamo, insomma, un problema epidemiologico”.
Nonostante i dati la speranza resta. “Abbiamo dei buoni risultati a oggi sulla sopravvivenza a cinque anni e anche sulla sopravvivenza a dieci anni”, anche grazie alla prevenzione.
“Vi ricordo che in Regione Lombardia si è deciso di iniziare la prevenzione a 45 anni, mentre normalmente in Italia si va a 50 anni.
Tra le donne malate di tumore al seno il 30% decede prima dei 50 anni. Poi la mortalità scende, quindi noi abbiamo anche un problema con le donne giovani. Purtroppo, come ho detto già più volte, di tutte le signore che hanno un tumore al seno, nonostante tutte le terapie che abbiamo e la prevenzione terziaria sia proprio impegnata in questo tipo di attività, il 30% svilupperà inevitabilmente un tumore avanzato con metastasi.
Il tumore al seno è una cosa strana, non è come i tumori classici, perché può sviluppare evoluzioni anche a distanza di più di 10 o 20 anni. Quindi bisogna sempre stare sul qui e là, però senza troppa agitazione. L’importante è il follow-up, cioè le visite di sorveglianza possono essere fatte anche dai medici di famiglia. Ma andiamo un po’ più nel concreto.
La prevenzione primaria è prima che la malattia si manifesti, cioè i nostri stili di vita. Credo che qui molti di voi fumino e ormai molte donne fumano. Sappiamo tutti che non fa bene ma continuiamo a farlo.
La prevenzione secondaria è quando la malattia è presente ma è ancora asintomatica o piccola, comunque così piccola che magari può essere rilevata da una macchina, come un mammografo o un ecografo.
La prevenzione terziaria, che è quella di cui vi voglio parlare più nel dettaglio, e che poi vedrete è più interessante dei numeri di prima, riguarda le persone che hanno già avuto una diagnosi e serve a ridurre le recidive e le metastasi, oltre che a limitare la disabilità prodotta dalle terapie, che a volte causano disabilità.
Gli strumenti che utilizziamo per questa prevenzione terziaria sono le terapie adiuvanti, neoadiuvanti e metastatiche. “Adiuvante” vuol dire dopo un intervento, mentre “neoadiuvante” vuol dire pre-intervento, prima della chirurgia, per cercare di ridurre le micrometastasi, cioè quelle cellule che pensiamo siano già in circolo al momento della diagnosi. E in alcuni setting di malattia ormai questa è la prassi: ad esempio, se una paziente arriva con una malattia particolare, che può essere un tumore HER2 positivo o un tumore triplo negativo, quasi sempre si opta per la terapia pre-chirurgica.
Poi, cosa facciamo anche per cercare di prolungare l’intervallo libero da malattia e aumentare la sopravvivenza? Effettuiamo dei controlli.
Purtroppo, però, nel tumore della mammella, l’anticipazione della diagnosi, come ho già detto più volte, a oggi non ha dimostrato di essere risolutiva.
Serve fare la mammografia, da quando ho avuto una diagnosi. Io dico alle mie pazienti di farla appena possibile, cioè appena sono in grado di raggiungere un mammografo, non necessariamente a 80 anni; non è una questione di età, ma di capacità di raggiungere il servizio.
Quindi bisogna fare la mammografia.
Ci sono diverse teorie sulla frequenza: mammografia annuale, mammografia biennale. In Canada, l’anno scorso, all’ASCO, il più grande congresso di oncologia del mondo, e ancora quest’anno, è stato detto che va bene anche farla ogni tre anni, l’importante è farla, ok? Senza avere l’ansia di trovare il posto, ma continuare a farla perché la mammografia ci permette, se troviamo una recidiva in una mammella, di rioperare, ritrattare e riportare a zero il paziente, cioè a rimetterlo a posto.
Le fasi della malattia, dicevo, sono neoadiuvante, prima dell’intervento, quando abbiamo pazienti con malattie localmente avanzate, come un linfonodo positivo sotto l’ascella, che indica malattia localmente avanzata, oppure un tumore più grande di due centimetri.
La fase adiuvante è quando i senologi hanno già operato la paziente e noi attiviamo una forma precauzionale di terapia.
E poi purtroppo c’è la fase metastatica. Come vi ho detto, il 30% delle signore può diventare metastatico o esserlo già alla diagnosi, e anche questa fase serve ad aumentare la sopravvivenza. Questo è il nostro lavoro principale.
Questa sera facciamo quindi un accenno su come oggi sia possibile stabilire in modo moderno se una paziente debba fare o meno una terapia adiuvante. Lo facciamo con questi test, chiamati Oncotype DX e NGS. Sono dei test che predicono la capacità di una persona di ottenere un buon risultato con la chemioterapia, e quindi, per semplificare, di vivere di più; dall’altra parte predicono se una paziente non ha bisogno della chemioterapia.
Sono test, e ne sono orgoglioso, che questa regione ha reso gratuiti per prima in Italia, nel 2019. Io vengo dal Piemonte; in Piemonte le pazienti che volevano fare il test spendevano 3.000 euro. Questa è quindi una cosa che la Lombardia ha fatto per prima in Italia. L’NGS, o Next Generation Sequencing, è l’analisi del DNA tumorale e dell’RNA tumorale dei tumori che preleviamo. Questa è la nuova frontiera della medicina, perché ci permette di scoprire dei “bersagli molecolari”, e quindi di capire se esistono terapie che colpiscono questi bersagli, permettendo una terapia molto selettiva.
Abbiamo anche delle novità sulla procreazione. È un duro colpo per una donna giovane sapere che potrebbe non avere figli a causa della chemioterapia. Oggi sappiamo, dal 2023, che le donne giovani, ma anche quelle sopra i 40 anni, hanno possibilità, nonostante la malattia e le cure, di avere figli.
Quindi si riduce una disabilità, perché non avere figli non è sicuramente una bella cosa. Abbiamo dei nuovi farmaci, non solo a Milano in centro all’Istituto Nazionale dei Tumori, li abbiamo anche a Magenta, quindi state tranquilli, siamo coperti come si dice quindi abbiamo tutto quello che serve, anche negli ospedali di periferia ormai e questa è una cosa che rende molto socialista l’oncologia, cioè quello che hanno da una parte possiamo averlo anche da un’altra parte.
Ed è una cosa molto importante perché avere la possibilità di trattare gli ammalati in modo capillare riduce gli spostamenti, riduce i disagi delle famiglie, è un po’ come avere uno sportello bancario sotto casa, giusto? Esatto.
Questa è la NGS. Che cosa vuol dire? Vuol dire che noi esaminiamo la cellula tumorale, con una macchina, come una macchina di laboratorio dove analizzano il vostro sangue per la glicemia, il colesterolo eccetera, adesso si analizzano i geni. Questo non lo facciamo a Magenta e anche a Legnano, però lo possiamo fare grazie ad una convenzione che abbiamo con alcuni ospedali di Milano, perché la Lombardia ha deciso che queste analisi particolari sul DNA e l’RNA dei tumori si fanno solo in 8 ospedali in tutta la Lombardia. Ma i tempi, in dieci giorni, noi abbiamo un pannello genico e sappiamo più o meno bene se voi avete un bersaglio colpibile oppure no.
In questa fase della nostra vita oncologica ci dedichiamo a queste forme di studio solo ai pazienti che hanno una malattia avanzata, i pazienti metastatici, però è un’innovazione tecnologica che è inarrestabile e quindi arriveremo praticamente ad avere, probabilmente nell’arco di 3-4 anni, delle molecole anche per i pazienti che oggi fanno chemio, avremo poi delle pastigliette, le abbiamo già per qualche tumore, magari qualcuno di voi conosce un amico che dice prendo la pastiglia per il tumore al polmone o per il tumore alla mammella, ecco diciamo che c’è un’evoluzione su questa terapia a bersaglio molecolare si chiama, che è una cosa affascinante che rende ricche, molto ricche le ditte che fanno queste cose, perché possiamo stratificare i pazienti, possiamo predire la risposta, perché se noi abbiamo un bersaglio sappiamo che lo possiamo colpire, quindi possiamo dire quel paziente lì farà la terapia X, quel paziente la farà la terapia Y.
Possiamo quindi avere una prognosi. Prognosi equivale per me a dire quanto camperò. Se io so che ho determinate alterazioni dei determinati bersagli evidenti perché bersaglio equivale a farmaco, equivale a missile mirato che io sparo contro quel bersaglio. Oggi stiamo andando lì, anche a Magenta.
Poi, e questo è il concetto di individualizzare il trattamento, con quel test oncotype DX io mettiamo 100 pazienti mammella, però so che se io li scelgo bene solo 50 potranno essere dei candidati più o meno affidabili per avviarli alla chemioterapia. Fino ad oggi l’ho fatto come? In un modo secondo me perfettibile, adesso abbiamo il test che ci perfeziona, questo test che si chiama Oncotag Disch e possiamo però usare solo per alcuni ammalati di mammella che sono i maggiori i pazienti che hanno i tumori con recettori positivi. È un po’ difficile spiegarvi cosa vuol dire recettori positivi, vuol dire una caratteristica particolare che hanno circa il 70% dei tumori della mammella. Io li seleziono perché apparentemente sono tutti uguali, cioè fino ad oggi si è lavorato col concetto one size fits all, che vuol dire abbiamo una taglia, diamo a tutti la stessa taglia. Come a militare? No, abbiamo una divisa diversa per ogni persona. La divisa è il trattamento, il trattamento lo scegliamo in base alle analisi molecolari e questa Oncotype DX è, secondo me, una grossa innovazione per il costo, oggi lo Stato, la Lombardia, lo paga 1000 euro e non più 3000, questo permette a circa 30-40 donne su 100 di non fare la chemioterapia, di non stare male, di non essere ricoverata, di non perdere i capelli, eccetera, eccetera, eccetera.
Si sta arrivando a un cambio di terapia. Dal New England Journal of Medicine, dal 2018 noi sappiamo che se abbiamo un punteggio di questo oncotype di X, che si ottiene da un test, che analizza il tumore, poi non mi fanno più prelievi, non mi toccano più, mando un pezzettino del vostro tumore attualmente negli Stati Uniti. Bisogna preparare il pezzo qui a Magenta o Legnano, passa il corriere, lo imbarca sull’aereo alla Malpensa, lo mandano negli Stati Uniti, lo esaminano, ci mandano un emendamento dopo 7-10 giorni e noi sappiamo se Pinco deve fare la terapia o Pallino non la deve fare. È una cosa che se pensate è fantastica perché fino ad oggi noi siamo andati al mio paese, dicono, un po’ a stima, cioè la signora aveva un tumore di 3 centimetri, un linfonodo faceva quasi sempre la terapia.
Oggi noi sappiamo che ci sono pazienti che hanno 5 centimetri di tumore e 3 linfonodi che non fanno la terapia se il test diventa negativo. E’ un cambio di paradigma, è una cosa incredibile, è come, ritornando alla banca, se potessero farvi un’indagine per darvi un mutuo senza che voi lo sappiate, senza assolutamente tangervi, ma essendo sicuri che voi il mutuo lo potete poi rifondere.
Non so se può essere un esempio. Quindi, ecco, volevo dire, se avete meno di 50 anni, con più di 25 non fa nessuno la chemio e gli ormoni. Vi ricordo che questo è un test che si può fare solo alle signore che hanno un tumore con recettori positivi.
Sulla possibilità di avere dei figli è stato pubblicato l’anno scorso sempre sul New England Journal of Medicine, la rivista con più impatto dal punto di vista medico per chi fa il mio lavoro, uno studio su 516 pazienti di età inferiore a 42 anni, ormonoresponsive, che stavano facendo una terapia ormonale. Vi ricordo che l’obiettivo fino ad oggi degli oncologi è azzerare gli ormoni delle donne che hanno un tumore ormonoresponsivo, che è il 70% del nostro lavoro. Azzerare gli ormoni perché gli ormoni sono una specie di alimento per il tumore. Le donne così non potevano più avere figli non avendo ormoni, perché per avere dei figli ci vuole un tenore ormonale estrogenico elevato.
Questi sperimentatori hanno dimostrato che un’interruzione, tra 18 e 30 mesi nella terapia, le signore non facevano più una terapia antitumore senza peggiorare e potevano avere una gravidanza senza rischiare di avere dei peggioramenti nella loro malattia.
La prima cosa che vi dice una signora è: “Ma lei è sicuro di togliermi la terapia?” Perché poi purtroppo l’ansia cresce. Noi oggi siamo sicuri, e in questi dati per farvela breve non abbiamo avuto delle modifiche grandiose nella vita di persone che avevano interrotto, non avevano fatto delle metastasi più di quelli che non avevano interrotto o delle recidive locali perché, purtroppo il chirurgo lo sa bene, spesso arrivano anche delle signore che nonostante l’intervento hanno avuto delle recidive locali.
Interrompere la terapia, avere una gravidanza non voleva dire peggiorare lo stato di malattia e abbiamo avuto 365 bambini che è una cosa fantastica. Quando io ho incominciato a studiare, tutte le signore che ho visto che avevano un’età giovane, magari anche 35 anni, trentenni, venticinquenni, perdevano l’ipotesi nella loro mente di essere madri, di diventare gravide.
Oggi sappiamo che si può fare e che, come si dice in gergo, è “safe”, cioè si può fare tranquillamente. Chiaramente più la donna è giovane più ha la possibilità di avere una gravidanza perché ha una riserva ovocitaria maggiore rispetto a persone che hanno più di 40 anni, che hanno come vedete però un 50 per cento di possibilità, non è male.
Se pensate che nelle coppie sterili la possibilità di avere una gravidanza con l’inseminazione, con la fertilizzazione assistita, l’inseminazione artificiale è inferiore al 20 per cento, questo è un risultato secondo me fotonico.
Ora voglio parlare dei nuovi farmaci. Ce n’è una sfilza perché noi tutti i giorni viviamo con della gente che ci dice: “È uscito questo, funziona,” dobbiamo andarci a documentare, dobbiamo scontrarci con un sistema che si chiama AIFA, che vuol dire Agenzia Italiana per la Licenza dei Farmaci, che ci deve dire se noi lo possiamo usare o non lo possiamo usare, e purtroppo molti di voi vanno su internet e dicono: “Ma guarda che lo usano,” in realtà l’unico paese dove tutti i farmaci sono liberi è la Svizzera, però sono tutti a pagamento. La Svizzera e gli Stati Uniti.
In Italia, come in Francia, in Spagna, in Inghilterra, esiste un regime di regolamentazione sui farmaci nuovi, sui farmaci moderni.
Gli ADC, e sono gli unici di cui vi parlo, sono disponibili. Queste categorie di farmaci sono come un cavallo di Troia. Voi sapete che Ulisse è stato lasciato nel cavallo e ad un certo punto i troiani hanno detto: “I greci se ne sono andati, non ci vogliono ammazzare,” hanno portato il cavallo dentro Troia. Poi questi sono usciti dal cavallo e hanno ammazzato tutti i greci, così dice la leggenda. Che cosa vuol dire il cavallo di Troia? Vuol dire che noi abbiamo degli anticorpi, quindi delle molecole non chemioterapiche, che hanno una molecola attaccata all’anticorpo, è un vettore, è il cavallo, ha un vettore cioè ha attaccato una sostanza che entra nelle cellule grazie al fatto che l’anticorpo riconosce la cellula.
L’anticorpo, che cos’è? È una specie di missile teleguidato che va a riconoscere una certa cellula. Noi abbiamo almeno tre tipi di anticorpi per alcuni tumori della mammella: il TDM1, che ormai è storico perché è più di dieci anni che lo usiamo; il trastuzumab deruxtecan, che è da due anni che lo usiamo; e il sacituzumab, che è da un anno che lo usiamo.
Sono delle bombe che hanno una teleguida e che hanno un farmaco legato, proprio come Ulisse nel cavallo di Troia, che esce e uccide le cellule tumorali.
Non sono perfetti, altrimenti non morirebbe più nessuno, però sono un’innovazione tecnologica che lo Stato italiano paga. Una terapia con uno di questi farmaci costa più o meno 15.000 euro a seduta. Se voi calcolate che di quei 55.000 pazienti un 30% li dobbiamo trattare subito perché sono metastatici, fate 3 per 5, 15.000, quindi viene una cifra altissima. Tuttavia è tutta roba che è disponibile e funziona molto bene.
Non ha cambiato la vita completamente, anche perché i pazienti arrivano una volta ogni 21 giorni, fanno una terapia, vanno a casa, stanno discretamente bene, non vomitano, non hanno grosse perdite di capelli, sembrano integri, e questa è una cosa bella, cioè, se uno sta male non deve farlo vedere. Noi abbiamo pazienti che sono assolutamente curati bene, perché sono pazienti integri che fanno il loro lavoro nella loro società senza che nessuno dica “quello è malato”.
Quindi questo è un nuovo concetto di farmaco che noi stiamo utilizzando, ce ne sono tantissimi altri che non sto a citare
Vorrei parlare ora dell’oblio oncologico. Voi dovete sapere che oggi esiste una legge dello Stato che dice che, dopo dieci anni, vi devono dare un mutuo senza più chiedervi se avete avuto un tumore, eccetera, eccetera. Fino ad oggi, invece, lo si poteva fare e anche le assicurazioni potevano non assicurarvi sapendo che avevate una storia di tumore. Oggi, quando il paziente ha fatto dieci anni di, diciamo così, carriera, sta bene e per noi è guarito. Guarito significa non che il tumore non tornerà mai più, ma che ha le stesse possibilità di ammalarsi di tumore rispetto a una persona che non ha mai avuto una malattia oncologica. Forse voi non lo sapevate, ma è così.
In Italia ci sono circa 3-4 milioni di persone vive con un tumore. Quindi, anche se adesso non si legge, dal 2 gennaio di quest’anno questa legge è in vigore, ed è una cosa fantastica, perché mi permette anche di congedare le signore, se parliamo di mammella, o i signori, se parliamo di altre patologie, e dire “tu sei a posto, non hai più bisogno di fare esami, di venire qui, di stressarti, di cercare di fare la TAC e poi non trovi il posto”, eccetera, eccetera. È una cosa fantastica.
Noi siamo al settimo piano dell’ospedale Fornaroli, abbiamo una divisione con 18 letti di ricovero. Il territorio è coperto e vi garantisce un’assistenza completa, grazie anche alla partecipazione alle breast unit, cioè alle unità di studio sui tumori mammari”.