Con meno di un giovane su quattro laureato, l’Italia è il fanalino di coda in Europa quando si parla di formazione di terzo grado. L’ultimo rapporto Eurostat conferma il nostro Paese in fondo alla lista tra i Paesi più industrializzati: appena il 23,9% dei giovani tra i 30 ed i 34 anni possiede in titolo di laurea, a fronte di una media europea che sfiora il 38%. Un gap che l’Italia sta cercando lentamente di colmare: nel 2002 la quota dei laureati tra i trentenni superava di poco il 13%. Anche se negli ultimi tredici anni sono stati recuperati più di dieci punti, il divario resta profondo. E anche per il futuro, gli obiettivi tendono al ribasso. Infatti l’Italia, secondo quanto disposto dal piano per l’istruzione “Europa 2020”, si è posta l’obiettivo minimo del 26%, un traguardo già
ampiamente raggiunto e superato da molti Paesi europei: per quelli scandinavi, per Spagna, Francia, Germania ma anche Lituania, Cipro e Irlanda si parla di percentuali che già oggi sono prossime o superiori al 50%. Nel nostro Paese rimangono poi forti le differenze di genere, con gli uomini molto in ritardo sia rispetto alle colleghe che ai loro coetanei europei. In Italia solo il 18,8% dei trentenni possiede una laurea (contro il 33,6 della media UE), mentre la percentuale delle donne è arrivata a quota 29,1 (il 42,3 in Europa). La denuncia di questo ritardo è stata oggetto di discussione nella Primavera delle Università italiane che la CRUI – la Conferenza dei Rettori che raccoglie 80 atenei italiani – ha celebrato lo scorso 21 marzo. Partendo dal fatto che «grazie all’università il Paese è più innovativo e competitivo», scrive la CRUI, l’Italia ha un investimento per abitante pari a un terzo di quello di Germania e Francia, un sesto rispetto alla Corea del Sud. Sono inoltre diminuiti i fondi pubblici dedicati all’università (-9% negli ultimi sei anni contro il +20% di Germania). Eppure, il nostro Paese si colloca all’8° posto tra i paesi OCSE – davanti alla Cina – per quantità assoluta e qualità della produzione scientifica. Per quanto bistrattata e poco considerata, l’università è un ponte importante per una stabilità occupazionale. Altomilanese e Varesotto vantano in questo senso due realtà di primissimo piano che grazie alla qualità della formazione e ai rapporti con le imprese hanno raggiunto percentuali significative: l’università dell’Insubria ha tassi superiori alla media nazionale di occupati a un anno dalla laurea triennale (60% contro il 41%) e di laureati in corso (53% contro il 45%); LIUC vanta un tasso di occupazione del 90% a tre anni dalla laurea contro una media nazionale del 52,5%.

