La riforma Bcc in dirittura d’arrivo

Dallo stralcio del gennaio 2015 dalla riforma delle Banche Popolari al decreto legge di febbraio: le tappe del provvedimento che cambierà l'assetto del Credito Cooperativo

I giochi non sono ancora fatti, ma tanto è stato detto e scritto dalla notte fra il 10 e l’11 febbraio, quando il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e il ministro delle Finanze Padoan, quasi allo scoccare della mezzanotte, si presentarono alla stampa per comunicare l’approvazione, da parte dell’Esecutivo, del decreto legge sulla riforma delle BCC, che non sarà inutile ripercorrere queste settimane. Che la posta fosse alta lo si è capito nella tarda mattinata di giovedì 11 febbraio, quando Federcasse prima e Confcooperative poi hanno espresso tutti i loro dubbi. Il punto critico, unico ma determinante per il venir meno della coerenza cooperativa, era la clausola detta way out, ossia la possibilità, per le BCC con patrimonio superiore ai 200 milioni di euro, di non aderire alla capogruppo unica dietro il versamento di un’imposta straordinaria del 20 per cento sulle stesse riserve. «Il decreto legge governativo ha recepito, nella sostanza, l’impianto dell’autoriforma presentato da Federcasse, e questo è un elemento positivo di valutazione –ha dichiarato il presidente della nostra BCC Roberto Scazzosi–. Aver mantenuto il principio di autonomia e di mutualità delle singole BCC, la costituzione di un gruppo cooperativo bancario unico, la definizione dei patti di coesione per regolare il rapporto fra la holding e le singole BCC rappresentano basi positive su cui costruire la riforma». Il ma del presidente riguardava il “way out”, «opzione che, per come si è andata definendo, sembra andare nella direzione contraria a quella auspicata dallo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi, ossia compattare e rinforzare il mondo delle banche di Credito cooperativo». L’alzata di scudi da parte del mondo cooperativo ha fatto sì che il giorno dopo già si parlasse di riscrivere il decreto sugli aspetti riguardanti le BCC che non vorranno aderire alla holding. Il decreto era stato licenziato dall’Esecutivo “salvo intese”: ossia il provvedimento è tranquillamente modificabile prima della sua pubblicazione. «Mi sono chiesto come mai se il decreto di riforma delle BCC è stato giudicato urgente nel gennaio 2015 (quando fu stralciata dal provvedimento delle Popolari ndr) e ha visto impegnate le parti per un anno ne sia uscito un provvedimento “salvo intese” –ha scritto sul suo blog “Il Banchiere di provincia” il direttore generale Luca Barni– . Avrei detto che in un anno ci sarebbe stato tutto il tempo per capirci qualcosa, ma evidentemente questo tempo non è stato sufficiente. Ho trovato sconcertante che si sia inserita, a scapito del lungo confronto condotto da Federcasse, una clausola sul way out a vantaggio dei pochi che non condividevano la posizione di Federcasse stessa». Per la cronaca, la maggior parte di queste BCC sono in Toscana; una “coincidenza” che la stampa ha sottolineato parlando di “cerchio magico” toscano e del renzismo di Paolo Regini, presidente della Banca di Cambiano (BCC che sta al di fuori di Federcasse) che ha dichiarato “… è quello che volevamo…”. A meno di una settimana dal varo del decreto le critiche non si placano (Giovanni Ferri, prorettore e docente di Economia alla LUMSA, l’ex World Bank chiede di non cancellare con la riforma “quella autonomia senza la quale il sistema del Credito cooperativo diventerebbe una Banca qualsiasi”) e cominciano a emergere i correttivi al decreto legge. E non da figure dell’opposizione, ma della maggioranza stessa. Su tutti svetta per limpidezza d’analisi Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato in quota Pd che indica cinque ordini di motivi (concernenti la concorrenza e aspetti di natura etica, giuridica, economica e istituzionale) per cui è indispensabile correggere il provvedimento in sede di conversione in legge. È ormai chiaro a tutti che il decreto ha funto da detonatore delle diversità esistenti nel mondo delle BCC: da una parte chi vede, nel way out, l’occasione di costituire una Spa e di uscire, di fatto, dal mondo cooperativo; dall’altra chi sposa la linea di Federcasse e vede nella costituenda capogruppo unica la casa delle BCC dalle fondamenta più solide. In sintesi falsi e veri cooperatori. All’inizio di marzo arriva il pronunciamento del Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia, Carmelo Barbagallo. Nell’audizione in Parlamento Barbagallo esprime fortissime perplessità sul way out, perché rischia di favorire “interessi di gruppi di potere e singole personalità”. Critiche e proposte migliorative si sintetizzano nei 400 emendamenti presentati, dove risaltano in modo clamoroso le posizioni differenti sulla riforma nel Pd. Nella notte del 23 marzo via libera della Camera dei Deputati alla riforma. La versione emendata in commissione Finanze prevede la possibilità per le banche con patrimonio netto superiore a 200 milioni al 31/12/2015 di presentare (entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge) istanza, anche congiunta con altre banche con patrimonio inferiore, per conferire l’attività bancaria in una spa lasciando le riserve indivisibili in capo alla cooperativa conferitaria, che dovrà continuare l’attività mutualistica. Il provvedimento è quindi passato al Senato, tenuto ad approvarlo in tempi ristretti, visto che il decreto dovrà diventare legge entro il 15 aprile.

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