Le testimonianze storiche del Falò di Sant’Antonio a Varese: una tradizione che ha oltre 500 anni

Varese - Falò di Sant'Antonio - 16 gennaio
Varese - Falò di Sant'Antonio - 16 gennaio
Una storia che continua ancora oggi... come allora

Sono tante le testimonianze che permettono di ricostruire l’evoluzione del rito del falò nel corso del tempo.

Giovanni Antonio Adamollo, notaio e cronista varesino che nel 1619 riporta come i monelli della contrada avessero contribuito, a mani nude, a scalzare pietre dalla Motta per portarle su carretti fino a San Vittore.

Circa trecento anni più tardi, il 17 gennaio1914, un cronista invece allertava:”E’ abitudine di ragazzi di andare a raccogliere tutto il legname usato che capita loro sottomano per portarlo sulla piazza ad alimentare il falò. I ragazzi (….) si danno attorno a raccattare legna; e quando, come avviene di solito, non la trovano, vanno a rubare nelle case gli attrezzi fuori uso, le scale, gli usci rotti, le sedie sgangherate, i tavoli senza gambe, e li portano al fuoco”.

Oltre ai numerosi furti di legna del 1913 e 1914, nel corso degli anni Trenta finirono nel fuoco una carriola apparentemente abbandonata all’angolo di via Carrobbio, con tanto di inseguimento da parte del proprietario, le imposte rubate alle finestre della stessa via, fino addirittura alla porta dell’Osteria del Popolo, in via Vetera, e molto altro.

Una storia che continua, come ricorda anche uno dei monelli di oggi, Andrea Redaelli: “La passione per il falò nasce tutta in famiglia. E’ sempre stata tradizione, fin da quando avevo pochi anni, andare la sera del 16 gennaio con il nonno Ernesto, da sempre amico dei Monelli, a vedere accendere il fuoco. E crescendo, pian piano, la voglia di partecipare in maniera più attiva a questo rito si è fatta più forte, finché dieci anni fa, ho provato sulle mie spalle cosa significasse veramente essere “uno di quelli del falò”. E’ stato memorabile un fuoco alcuni anni fa, sotto la neve, dopo dieci giorni di maltempo ininterrotto. I bancali erano zuppi d’acqua e gelati. Ricordo ancora l’espressione incredula della professoressa Ambrosetti quando, un’ora prima dell’accensione, si sentiva ancora l’acqua gocciolare. “Redaelli, ce la farete ad accenderlo?” chiese. Ma il maestro fuochista aveva ben progettato la costruzione, noi ragazzi avevamo seguito le sue disposizioni, le torce avevano acceso la carta come previsto, e dunque falò fu!”.

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