Giorno della Memoria: la storia di Candido Poli partigiano legnanese sopravvissuto ai lager nazisti

Candido Poli
Candido Poli
...Per non dimenticare, perché la crudeltà non ritorni in nessuna forma

Candido Poli è un operaio. Quando scoppia la guerra, lui è a Castellamare di Stadia. Sta lavorando per la Franco Tosi. Nel 1942, a seguito di un bombardamento all’arsenale della città campana, rientra a Legnano e dopo l’armistizio sceglie di andare in montagna, nella zona del Lago Maggiore, con i partigiani della divisione Alfredo di Dio. La notte del 4 gennaio 1944 si trovava nella brughiera alla periferia di Busto Arsizio in missione per recuperare una partita di armi per i partigiani di montagna. Proprio in quei giorni la maggior parte delle fabbriche dell’alta Italia erano in sciopero ed anche nel legnanese la situazione era tesissima e i nazifascisti particolarmente infastiditi ed agguerriti. Qui viene catturato nel corso di un’azione a Busto Arsizio, portato a San Vittore e condannato a morte.

“E’ stato il cardinale Schuster che ha fatto la domanda di grazia”, ricorda in una sua testimonianza, “è stata accolta e mi ha mandato in Germania, condannato a 28 anni di lavori forzati da scontare dopo la fine della guerra”. 

Il 6 di aprile venne caricato su un carro bestiame: destinazione il lager di Mauthausen, vicino a Vienna.

“Non era un lavoro. Io ho fatto un anno e cinque giorni di campo di sterminio. Mi chiamavano Matusolen, e io ho superato la media di 90 giorni nei campi di sterminio. Non uccisi, eh, faceva, io ero sempre l’ultimo a ritirare il raggio, l’ho capito dopo io, perché essendo l’ultimo qualche fagiolo, qualche pezzettino di patata nel fondo rimaneva, ho dormito con tanti di quei morti che lei non si ne immagina, come le ho detto nella mia baracca che eravamo circa 400. L’inverno iniziava ai primi di novembre e si finiva a 10-12 gradi sotto zero, fuori lavorare con una tuta di tela e basta, morivano come mosche. Mi sono salvato dove quelli che erano malati forti, li buttavano là a montagna. E io ero uno di quelli, perché oramai non vivevo più, era un cadavere vivente, insomma. Il segno di vita era muovere gli occhi e cercare di parlare. Ma nei campi di esterminio, la morte era di casa. Non ho dormito per una trentina d’anni, di notte io entravo dii nuovo nel campo”.

Candido Poli riuscirà a rivedere i suoi familiari solamente nella primavera del 46. Lo credevano morto fucilato.

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