Fare impresa rappresenta oggi una delle opportunità più rilevanti per l’autonomia economica e professionale delle donne, ma richiede un approccio consapevole, orientato e ben programmato. In Italia, le imprese femminili costituiscono circa il 22% del totale – oltre 1,3 milioni di attività – e danno lavoro a più di 4 milioni e mezzo di persone, generando un fatturato che supera i 400 miliardi di euro. Numeri importanti, che testimoniano un potenziale concreto, ma che non bastano da soli a raccontare il quadro reale. Molte di queste imprese sono microstrutture, spesso concentrate in settori tradizionali e meno remunerativi, come i servizi alla persona o il piccolo commercio, e nate talvolta sull’onda degli incentivi, senza una solida preparazione imprenditoriale.
L’imprenditoria femminile può e deve diventare una leva strategica per la crescita del Paese, ma per farlo servono politiche strutturali e strumenti adeguati. “Parlare di imprenditorialità come soluzione al gender gap rischia di essere fuorviante – ha osservato Valentina Cardinali al Festival dell’Economia di Trento –. Servono orientamento, consapevolezza, politiche attive, formazione. Non basta aprire bandi: va fatto un lavoro strutturale, a partire dalla lettura dei fabbisogni del territorio, utile ad orientare le politiche pubbliche e quindi a meglio utilizzare le risorse”. È proprio in questo allineamento tra aspirazioni individuali e sviluppo locale che si gioca la partita delle opportunità.
Il nodo centrale resta quello delle competenze. L’interesse delle ragazze verso il fare impresa è reale, ma spesso manca una piena comprensione di cosa significhi gestire un’attività. “Oggi le ragazze hanno sogni, ma poca consapevolezza di cosa significhi fare impresa. Si avverte la mancanza di una vera educazione al concetto di imprenditività, necessaria già a partire dalla scuola. E mancano politiche attive capaci di abilitare concretamente alla creazione d’impresa” ha spiegato Terlizzi, invitando a ripensare l’educazione imprenditoriale fin dall’età scolastica, per trasformare l’entusiasmo in progettualità sostenibile.
A tutto questo si sommano gli ostacoli culturali e sociali. Il carico di cura che grava ancora in modo sproporzionato sulle donne – tre volte superiore rispetto a quello maschile – limita fortemente le possibilità di intraprendere un percorso imprenditoriale. Si riflette sul tempo disponibile, sul reddito, sulla scelta del part time, sulla possibilità di crescita e persino sulla pensione futura. “Anche sui congedi parentali serve un cambio culturale, perché l’obiettivo deve essere consentire alle madri di restare al lavoro, perché a casa c’è anche il padre”, ha aggiunto Terlizzi.
Creare le condizioni affinché fare impresa diventi una vera opportunità per le donne significa quindi lavorare su più fronti: formazione, cultura, servizi, politiche pubbliche. Solo così l’imprenditorialità potrà essere non un’alternativa di ripiego, ma una scelta solida, consapevole e piena di prospettive.

