L’argomento era obbligato, perché, da diversi mesi a questa parte parlare di Credito Cooperativo significava parlare di riforma; da qui la necessità dell’informativa sulla legge licenziata dal Senato lo scorso 6 aprile all’assemblea dei soci. A relazionare il presidente Roberto Scazzosi, che ha cominciato con la cronistoria della riforma per concludere con la dichiarazione di adesione al gruppo unico. Scazzosi ha ricordato la valutazione positiva data dal mondo del Credito Cooperativo alla legge, visto che questa ricalca, nella sostanza, la proposta di autoriforma, il che rappresenta un unicum nella storia italiana. «Qualcuno ci ha visto una prova ulteriore dell’essere differenti –ha commentato Scazzosi–; è un interpretazione che personalmente mi piace, ma mi piace anche pensare -perché ne sono convinto- che da questa riforma la differenza delle BCC uscirà ulteriormente rafforzata».
Il primo aspetto di diversità riguarda il cosiddetto patto di coesione. Il patto di coesione regolerà i rapporti fra capogruppo e istituti bancari: si tratta di un inedito, perché i rapporti, di solito, sono normati dal codice civile, mentre qui sono modulati con criteri di “meritevolezza”. Saranno proprio i criteri di meritevolezza a determinare il grado di autonomia di ogni BCC «e il grado di autonomia è per noi condizione imprescindibile per continuare a fare banca come l’abbiamo sempre fatta» -ha proseguito il presidente. L’altra novità di rilievo portata dalla riforma è l’inizio di quello che è stato definito il “terzo tempo” del Credito Cooperativo. Dopo il primo tempo, della totale autonomia, e il secondo tempo, della rete, si aprirà quello della coesione integrata. Obiettivo della riforma era di rendere il Credito Cooperativo più robusto e adeguato ad affrontare le sfide poste dal mercato. Con il gruppo unico, che dovrà prendere forma nel prossimo anno e mezzo, le BCC avranno alle spalle la forza del primo gruppo bancario italiano per capitali nazionali e per sportelli. «Il Credito cooperativo sarà quindi un sistema più solido e capace di rispondere meglio alle nuove esigenze di servizio di soci e clienti –ha continuato Scazzosi–». La riforma prevede l’adesione delle BCC a una capogruppo costituita sotto forma di SpA, il cui patrimonio netto non deve essere inferiore a un miliardo di euro. Il capitale della spa deve essere in ogni caso detenuto in quota maggioritaria dalle BCC, fatta salva la possibilità del ministero dell’Economia di autorizzare la discesa sotto il 51% qualora fosse necessario reperire ulteriori risorse. La capogruppo avrà poteri di indirizzo e controllo nel rispetto dell’autonomia delle singole BCC, che mantengono la licenza bancaria e la mutualità prevalente. Il decreto prevede la cosiddetta way-out, ovvero una via di uscita per le BCC che non vogliono aderire al nuovo gruppo (al momento di andare in stampa una sola BCC ha ufficializzato la richiesta di usufruire della clausola “way-out”, la Cassa Padana). È prevista la possibilità per le banche con patrimonio netto superiore a 200 milioni (al 31 dicembre 2015) di presentare istanza, anche congiunta con altre banche con patrimonio inferiore, per conferire l’attività bancaria in una spa lasciando le riserve indivisibili in capo alla cooperativa conferitaria, che dovrà continuare l’attività mutualistica.
Dal quadro normativo generale al caso che ci interessa: con la riforma cosa cambierà per la BCC di Busto Garolfo e Buguggiate? «Sotto un profilo pratico direi nulla –ha precisato il presidente–. La riforma ha mantenuto, infatti, il senso più profondo della missione BCC, quello stabilito nell’articolo 2 dello statuto. Il nostro modo di fare banca resterà quello di sempre, improntato alla logica cooperativa e mutualistica e profondamente radicato nel territorio. Quello che cambia è la cornice in cui operiamo, ossia l’assetto del mondo del Credito Cooperativo di cui facciamo parte». Grazie alla riforma, la BCC beneficerà dell’effetto del gruppo bancario unico, ossia una casa comune che, in Italia, sarà la prima per capitali nazionali e per numero di sportelli. «Ricordo che sulla costituzione del gruppo unico il CdA della nostra banca si è detto da subito favorevole alla posizione espressa da Federcasse –ha ribadito Scazzosi– e che, nei tempi e nelle modalità che saranno definiti, aderiremo al gruppo unico. La BCC non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di non aderire alla capogruppo. Oltre alla way out, ci sarebbe teoricamente anche la possibilità di diventare banca Popolare. In questo caso dovremmo scinderci in una holding cooperativa e conferire il ramo aziendale a una banca popolare esistente. Continuando a fare accademia bisognerebbe essere da un lato appetibili per la Popolare che acquisirebbe il ramo aziendale e far pesare la nostra posizione all’interno della Popolare per contare qualcosa. Ma questa scelta porterebbe a snaturarci perché la banche popolari, ormai da molto tempo e ancora di più a seguito della riforma di inizio 2015, operano secondo logiche che non hanno più nulla a che spartire con le finalità originarie».
Nel merito, i tempi per la riforma si calcolano dalla promulgazione delle norme attuative, che sono attese dopo l’estate. Quello che sta impegnando da diverse settimane a questa parte il movimento cooperativo è il patto di coesione, l’aspetto più innovativo della riforma, che arriverà da Federcasse e regolerà i rapporti fra il gruppo unico e le singole BCC. Su questo aspetto Scazzosi si è ricollegato a quanto dichiarato , all’indomani dell’approvazione della legge, dal presidente di Federasse Alessandro Azzi : “bisogna avere la consapevolezza che non è più il tempo di una BCC atomistica. Allo stesso tempo il regolatore ci chiede stabilità e questa stabilità ritiene sia garantita attraverso l’adesione a un gruppo bancario in cui le BCC devono avere la maggioranza e in cui il rapporto tra istituto aderente e capogruppo deve prevedere un grado di autonomia proporzionale alla solidità che l’istituto territoriale è in grado di garantire. Le BCC virtuose, dunque, saranno più autonome di altre. Abbiamo costruito in questi mesi una casa in cui si può stare bene”. Una casa attrattiva –questo deve essere il gruppo unico per Federcasse. «Noi aderiremo quindi al gruppo unico perché crediamo al progetto e all’idea che ispirano il gruppo unico –ha chiarito Scazzosi–, e ci crediamo perché questa è la scelta che rispecchia il vero spirito cooperativo che abbiamo sempre interpretato in quasi 120 anni di storia».
Scazzosi ha concluso ricordando l’intervento del professor Pietro Cafaro nell’assemblea 2015 sulla riforma, che era allora ancora in via di definizione. Il professore ricordò che un tentativo di dare un coordinamento compiuto al movimento cooperativo fu già fatto alla fine dell’Ottocento. Nel secolo successivo i tentativi per irrobustire e rendere più coeso il movimento furono più organici e portarono a concepire banche di secondo grado; banche con una possibilità di capitalizzazione più veloce. Le legge bancaria del 1936 e il testo unico per la Casse rurali bloccarono poi questo processo. Questo per suggerire che l’idea di una maggiore coesione all’interno del sistema non è nata l’anno scorso, ma è già stata esplorata perché ha una sua ragione d’essere molto forte.

