La riforma delle BCC va nella direzione giusta

Roberto Scazzosi, presidente Bcc Busto Garolfo e Buguggiate

Le prime settimane del 2016 per il mondo del Credito Cooperativo sono state segnate dall’attesa prima e dalla discussione, anche molto animata, poi sul decreto legge emanato dal Governo sulla riforma delle BCC. Proprio mentre stiamo per chiudere il numero che vede il debutto de la Voce digitale, il provvedimento, già licenziato dalla Camera dei Deputati, dovrebbe avere il via libero definitivo del Senato e diventare legge. Se è vero che non dovrebbero esserci sorprese, per prudenza e rispetto verso le istituzioni, credo sia opportuno rinviare a un’apposita newsletter la disamina della riforma nel merito e limitarsi, su questo numero della Voce, a tracciare una cronistoria che restituisca il lavoro compiuto nell’ultimo anno da Federcasse, d’intesa con il Governo e Banca d’Italia. Fatta questa doverosa premessa, io penso che il provvedimento che risulterà dall’iter parlamentare recepirà il senso della proposta di autoriforma che Federcasse aveva formulato l’anno scorso. Questa riforma avrà come risultato di irrobustire il sistema delle BCC e di renderlo ancora più coeso, grazie al coordinamento dall’alto assicurato dalla holding unica; un assetto, questo, che rappresenta un’ulteriore garanzia in caso di crisi bancarie, che pure non hanno mai toccato il mondo delle BCC. L’aspetto del decreto legge più controverso, quello relativo alla clausola way out, ha trovato, in sede di Commissione Finanze, una formulazione convincente, che fa dell’opzione uscita un’eccezione, tanto è vero che questa si limiterà a soli 60 giorni dopo la conversione del decreto e si potrà applicare soltanto alle banche con un patrimonio superiore ai 200 milioni di euro al 31 dicembre 2015. Questa richiesta di way out dovrà essere in ogni caso vagliata da Banca d’Italia ed è comunque garantita la salvaguardia totale delle riserve indivisibili delle cooperative. Considerate le polemiche che si erano accese a febbraio, dopo il decreto legge, e la posizione di poche, isolate BCC, il risultato dimostra che è stato il buonsenso della gran parte del Movimento cooperativo a prevalere. Il che significa che i principi cooperativi sono stati recepiti e sono salvi, così come l’autonomia dei singoli istituti. Comincia da qui il nuovo capitolo della storia del Credito Cooperativo italiano, banche del territorio all’interno di un grande gruppo, autonomia in una dimensione che assicura economie di scala, quindi efficienza e possibilità di stare sul mercato. Non ce lo nascondiamo: questo capitolo rappresenta una grande sfida per le BCC; i 18 mesi di tempo per costituire la capogruppo saranno un vero e proprio cantiere di idee, progetti, persone che impegneranno il mondo cooperativo come non era mai accaduto. Ma è una sfida da accettare per essere al passo con le esigenze dei tempi, e non soltanto perché è stata l’Europa a chiedere di voltare pagina. Non dimentichiamoci, del resto, come è nato il provvedimento che ridisegna il mondo delle BCC; non un diktat dall’alto, ma un lavoro di concerto con Banca d’Italia e Governo, che è partita dal progetto di autoriforma presentato da Federcasse. Un unicum nella storia dell’Italia repubblicana. Non è forse la miglior prova che siamo banche differenti?

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